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cultura dell'immagine e della parola

I giganti del Prehistoric Park

Ogni tanto ci piace lasciarci ossessionare un po’ da un genere televisivo in particolare. Se frequentate con una certa regolarità queste pagine, ve ne sarete accorti. Vi ricordate, all’indomani della prima Isola dei Famosi, la messe di riflessioni sul reality? E i più recenti voli pindarici nel mondo della fiction, tra casalinghe disperate e persone perdute?
Bene. Supponendo che una serie di indizi convincenti equivalga a una prova, direi che ci sono tutti i presupposti per ipotizzare che da qui in poi il mockumentary (o “falso documentario”) televisivo ci darà spunti a iosa sui quali riflettere.
Abbiamo già scritto di The Office, di Fascisti su Marte e del surrealismo belga in formato Tg.
Non ci resta che segnalare Prehistoric Park, gustosa serie di taglio paleontologico trasmessa da La7 per quattro giorni alla settimana dal 26 dicembre al 5 gennaio alle 20,30.

Già il fatto che il falso documentario in Italia sia stato introdotto da Rai Tre per poi attecchire su Mtv e La7 dovrebbe farci drizzare le antenne: stiamo infatti parlando delle tre emittenti col più alto tasso di qualità e creatività presenti nel nostro etere.
I più acuti di voi potrebbero farmi notare che in questo caso la scelta di inserire in palinsesto un programma dedicato ai tirannosauri paia dettata soprattutto dalla necessità di sostituire nel periodo natalizio Otto e mezzo di Giuliano Ferrara con un’altra trasmissione che prevedesse la partecipazione di grandi e spietati carnivori. Può essere, ma ciò non toglie nulla al merito di chi ha portato sui piccoli schermi italici l’interessantissimo format prodotto da Tim Haines e Jasper James, vincitore di due premi BAFTA e tre Emmy.
Per chi sciaguratamente se lo fosse perso, lo riassumo in poche parole: il naturalista Nigel Marven, grazie a una macchina del tempo, si reca puntata dopo puntata nella preistoria per catturare animali da portare in un grande parco naturale che ha fondato con l’obiettivo di salvare le varie specie (insetti giganti, dinosauri, tigri dai denti a sciabola ecc.) dall’estinzione. Lo aiutano la veterinaria Susanne, il capo-guardiano Bob e una nutrita schiera di operatori che lo segue con cineprese e microfoni per documentare le sue scorribande nel tempo. Il tutto ci viene poi narrato, nella miglior tradizione documentaristica, da un’elegante voce fuori campo.

Come sempre di fronte a un genere televisivo ibrido, la domanda fondamentale che dobbiamo porci è una: perché si è scelto il mockumentary e non il documentario puro o la fiction?
In questo caso, la risposta è abbastanza semplice. Prehistoric Park prende il meglio del documentario, a livello di nozioni scientifiche e di accuratezza delle ricostruzioni storiche, e ci aggiunge ritmo, humour e quella leggerezza magnetica propria dei prodotti di finzione. Ma non solo: la messa in scena si rivela infatti utile a dinamizzare lo sviluppo narrativo, inserendo al suo interno dei divertenti “cortocircuiti” tra passato e presente che ne elevano il contenuto con eleganza. Basti pensare alla vicenda del mammut Martha, che dopo numerose peripezie riesce a farsi accettare all’interno di una comunità di elefanti africani, integrandosi alla perfezione senza che per questo il modello di famiglia tradizionale dei pachidermi ne risulti danneggiato. Oppure alle rimostranze del guardiano Bob, che vorrebbe venisse assunto del personale ausiliario (anche se, purtroppo, pare che i problemi di budget attanaglino perfino le oasi immaginarie). Insomma, ancora una volta il mockumentary si propone come un linguaggio sì di nicchia, [img4]ma straordinariamente vitale e capace di produrre effetti di senso inediti e spiazzanti.

Peccato solo che in questo caso si insinui nel format una traccia di cattivo gusto che nasce semplicemente dalle circostanze attuali, senza che vi sia dolo alcuno da parte della produzione. Quando il programma è stato realizzato, infatti, gli autori si sono divertiti a creare per Nigel situazioni ad alto rischio, portandolo frequentemente a stretto contatto con i predatori più pericolosi e costringendolo a fughe rocambolesche quanto disperate. Il pensiero, davanti a queste immagini, non può che andare a Steve Irwin, il celeberrimo documentarista morto proprio davanti alle telecamere lo scorso settembre.
Tristi inconvenienti della realtà.

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