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cultura dell'immagine e della parola

Ecce Nanni

Ecce Nanni

Ecco Nanni Moretti, quel Nanni Moretti giovane e alle prime armi che nel 1978 ci racconta con autarchica scanzonatura la vita di un “gruppaccio” di ragazzi come tanti: perditempo inguaribili che vivono e parlano di nulla tra riunioni parapolitiche, collettivi pubblici e gruppi di autocoscienza al maschile. Ecco Nanni, quel Nanni dallo sguardo viperino e imperturbabile che si dibatte tra la consapevolezza della propria fredda insensibilità e la solitudine che ne deriva.
Ecco l’antipatico ragazzo che si compiace della propria antipatia, il bruttino protervo con baffo alla Panagulis e capello alla Starsky e Hutch che gira per casa in mutande bianche e postura vagamente ingobbita telefonando a chiunque pur di placare la noia. Ecco Il giovane “già vecchio” che con fare nichilista si erge a paladino di eroica inettitudine.
Ecco Nanni Moretti l’intellettuale, il sarcastico, l’egocentrico.

Il suo sguardo lucido trafigge come un laser la realtà di una gioventù che, perdendosi in inutili convenevoli ideologici, si compiace della propria “incolta” cultura.
Ecco Nanni il nevrotico, quello che peggio di una zitella ottantenne schiaffeggia il padre e impartisce lezioni di vita alla madre, quello che ruba con serafico distacco la moglie a un amico, il Nanni sprezzante e iracondo, il Nanni che buca con goliardica cattiveria il pallone di un bambino, il Nanni perdente e infine il Nanni che forse si redime.
Antieroe ed eroe, come in tutti i suoi film, un Nanni Moretti summa di tutti i Nanni Moretti che saranno: dal leopardiano perdente di Palombella Rossa (1985) al cinico Caimano (2006) dei giorni nostri.
Una capacità unica e geniale la sua, quella di raccontarsi e descriversi con ironica veridicità, cogliendo con occhio elegantemente istrionico tutte le sfumature disincantate del Mondo che lo circonda. Un realismo puro, intriso di un’ideologia volutamente insistita che sfocia nel surreale, pur descrivendo situazioni di evidente ovvietà, un cinico e macchinoso richiamo alla poetica bunuelliana di cui sembra fare il verso: la metafora del vuoto viene quasi irrisa, le donne ritratte con una vena di “comprensiva” misoginia, l’incomunicabilità, tema caro ad Antonioni, diviene pusillanime tentativo di sciocca comunicazione.

Parole e Parole. Parole vuote quelle dei giovani che si ritrovano a caccia di autocoscienza, parole vuote quelle dei genitori, categoria ormai messa in dubbio dalle rivoluzionarie ribellioni sessantottine. Uno sguardo acuto dall’altra parte della barricata, lo sguardo del giovane Nanni caimano, lo sguardo dell’intellettuale spregiudicato che ama girare il coltello nella piaga, senza sosta, senza remore, tenendoci compagnia.
Un grandissimo film, sempre attuale, sempre vivo. Un grandissimo talento Nanni Moretti che, piaccia o meno, innegabilmente sfonda l’obbiettivo.

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