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cultura dell'immagine e della parola

Dance the tip tap, baby

Dance the tip tap, baby

Ritmato, questo è sicuro. Un cocktail esplosivo di musical e avventura. Canoro e ballerino.
Tuttavia quando scorrono i titoli di coda ci accorgiamo che Happy feet non convince. Cerchiamo di capire perché. Forse perché sfiora troppe corde, senza toccarne veramente nessuna. Affronta questioni profondissime e fondamentali quali il tema dell’amore, il tema della sopravvivenza e del rapporto fra l’uomo e le specie animali per la salvaguardia delle risorse disponibili sul pianeta, il tema del rispetto per le differenze e dell’accettazione del diverso all’interno di una società. Happy feet scivola, come i pinguini nelle loro acrobazie sulla neve, tra impegno e divertissement, altalenando momenti di humour a circostanze drammatiche e talora perfino disperate. C’è tanto dentro a questo film d’animazione, probabilmente c’è addirittura troppo.

Innegabili i vantaggi derivati dalle nuovissime tecniche d’animazione 3D, soprattutto nelle numerose scene d’azione. Merito di queste tecniche è principalmente quello di calare lo spettatore appieno nell’atmosfera della storia narrata, rendendolo un tutt’uno con quel fantastico mondo. Ma la tecnica e la tecnologia da sole non bastano. L’impressione è che in Happy feet manchi un impianto solido a livello di fabula e intreccio, ma anche a livello di introspezione dei personaggi. Di questi ultimi alla fine del film ci accorgiamo di conoscere purtroppo davvero poco.
Peccato, perché gli spunti buoni c’erano ed erano numerosi. Primo fra tutti la “diversità” di Mambo: sarà lunga e difficile la strada che porterà la società dei pinguini a saper riconoscere le sue caratteristiche particolari come un valore, e a saperlo accettare così com’è. Si tratta di questioni profonde, eterne, contemporanee. Eppure nell’alchimia di Happy feet qualcosa non ha funzionato. Probabilmente si è trattato del modo in cui sono stati dosati gli ingredienti. La pellicola infatti disorienta, perché nel momento in cui ci aspetteremmo di conoscere più da vicino uno dei protagonisti, immancabilmente veniamo travolti da una scena d’azione a ritmo serratissimo; allo stesso modo, mentre l’atmosfera è sommessa e volge al drammatico, improvvisamente siamo investiti dall’energia frizzante di una canzone ritmata e vivace.

L’azione e la musica sono le vere protagoniste di questo film d’animazione.
Alcuni stacchi musicali con le rispettive coreografie sono riusciti molto bene, soprattutto quando si tratta di scene a livello corale, collettivo. Perché la grafica, che sembra inseguire l’obiettivo di essere il più possibile realista, tende a rendere molto omogenei tutti i personaggi, consentendo allo spettatore di distinguerne pochissimi. Le canzoni sono quasi tutte molto famose, e forse per questo risultano poco credibili in bocca, ops, volevo dire in becco a dei pinguini. Anche i passi di danza trasformano questi ultimi in moderni ballerini di hip hop, funky, jazz, tip tap… La tecnica li fa muovere benissimo. Lo spettatore fa un po’ più fatica a crederci. Forse proprio per il contrasto tra l’aspetto realistico di questo cartoon che si tinge a tratti delle tinte del documentario, e l’aspetto fantastico concretizzato sostanzialmente in un’antropomorfizzazione ultramoderna degli animali. In conclusione, verrebbe da riflettere su questo interrogativo: perché non scegliere nettamente tra fiaba e realtà? A volte troppe contaminazioni rischiano di confondere le idee.

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