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Salvate le donne e i bambini

Salvate le donne e i bambini

Amel è un medico dell’ospedale. Dopo un intervento all’appendicite del figlio del vicino, torna a casa ma non trova il marito. I fondamentalisti islamici lo hanno rapito per gli articoli che pubblicava su un giornale. Accompagnata dalla collega più anziana Khadidja, Amel inizia una ricerca attraverso la maschilista Algeria degli anni novanta.

La prima esperienza alla regia di Djamila Sahraoui propone un viaggio attraverso l’Algeria e le contraddizioni di questo paese. Un’analisi condotta dal punto di vista delle donne, di un paese in cui tre diverse generazioni convivono senza conoscersi.
Khadidja è una donna anziana, ma coraggiosa e intraprendente. Ha combattuto al fianco dei terroristi durante la guerra contro la Francia. Ha messo bombe nei mercati e ha vissuto un periodo in cui le donne collaboravano al fianco degli uomini per la causa comune. Ora lavora all’ospedale insieme ad Amel e critica la realtà in cui vive.
Amel è la figlia della ribellione contro i francesi. Non ha vissuto la guerra di decolonizzazione, ma incarna gli ideali di quella rivoluzione mancata. È una donna emancipata, lavora in ospedale, non indossa il velo e ha sposato un uomo che scrive articoli contro il fondamentalismo religioso. Il suo stile di vita non passa inosservato nell’Algeria bigotta di fine secolo rimasta uguale all’Algeria francese, nonostante l’indipendenza.
Le due colleghe viaggiano fianco a fianco in un paese maschilista che non riconosce dignità alle donne. Durante il cammino sperimentano la realtà di violenza e odio: armi, ignoranza, maschilismo. Il viaggio offrirà loro l’occasione di conoscere meglio la realtà in cui vivono per cercare una via verso il cambiamento.
La speranza è riposta nella nuova generazione, nei bambini. Non a caso, il figlio del vicino di casa di Amel è motore della vicenda e ricompare alla fine, per indicare proprio la speranza. Una generazione, la sua, che dovrà gettare le armi in mare e riconoscere l’importanza delle donne nel processo di sviluppo. Bilal, il bimbo, è l’unico personaggio che non impugna armi. Compare in scena con un cellulare: lui, che conosce le nuove tecnologie e ha fiducia nelle donne, è l’emblema del futuro algerino.

Un film attento alle dinamiche sociali, preciso nella ricostruzione e nella critica a un sistema di relazioni biasimevole. La bontà dell’analisi si scontra, purtroppo, con un ritmo troppo lento. Eccessivi gli indugi della camera sui volti dei personaggi e sui particolari. La lentezza è funzionale alla drammaticità di alcune scene, ma troppo spesso finisce col distrarre lo spettatore. Anche la colonna sonora non aiuta a movimentare lo scorrimento: nenie e litanie rendono perfettamente il clima di fanatismo religioso del paese, ma appesantiscono eccessivamente il film.

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