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cultura dell'immagine e della parola

Le parole di Pasolini

Le parole di Pasolini

Pasolini artista tout court. Pasolini il regista, il poeta, lo scrittore, l’animatore culturale. Ma anche Pasolini l’uomo discusso. Pasolini che con la sua ultima pellicola Salò o le 120 giornate di Sodoma firma la sua opera forse più discussa, certamente la più nera, la più cupa, la più torbida e ambigua. Ed è proprio da qui che prende inizio il viaggio. Perché questo documentario è proprio un po’ come un diario di un viaggio all’interno dei meandri della mente e nell’arte di un uomo, un viaggio realizzato attraverso flash black, istantanee a volte sbiadite a volte ancora ben vivide nella mente.

Presentato nella sezione Orizzonti della 63° Mostra del Cinema di Venezia, è anche forse l’opera più ardita che Giuseppe Bertolucci abbia mai tentato: un campo a lui, così a suo agio con i modi della leggerezza, sconosciuto. Un terreno difficilmente calpestabile su cui infatti il regista si è mosso come in punta di piedi, cercando di farsi sentire il meno possibile, lasciando tutto lo spazio, adeguato e dovuto, a quel mostro sacro, quella pietra miliare che, che lo si ami o che lo si odi, è stato Pasolini all’interno del panorama culturale italiano. L’intervista che Pasolini rilasciò a Gideon Bachmann proprio durante la lavorazione del film è alternata da foto in bianco e nero del set realizzate da Deborah Imogen Beer: un avvicendarsi di parole in movimento, che inesorabilmente travolgono, e immagini statiche, cupe. E così, come in un puzzle in cui alla fine ogni pezzo trova la sua collocazione, le parole di Pasolini vengono a creare un unicum straordinario: un pensiero alto e articolato che ancora oggi, a distanza di anni, appare quanto mai attuale. Scorrono le immagini di Salò o le 120 giornate di Sodoma, immagini dure e crude, specialmente se si pensa che vennero realizzate nei lontani anni settanta; insieme si ascoltano le parole, sempre scorrevoli, pronunciate con una tutta esteriore calma serafica di Pasolini: parole contro il potere, contro la mercificazione dei corpi, contro il dio consumismo che sta prendendo sempre più piede. Non solo le parole del Pasolini agitatore e intellettuale, ma anche le parole del Pasolini semiologo che parla del linguaggio cinematografico e delle possibilità comunicative delle immagini in movimento.

E tutto è come davvero circondato da un’aurea di magia: Salò, il film dello scandalo, il film che subì censure, posticipazioni di uscita nelle sale, è e si fa testamento, estetico e ideologico di Pasolini, assassinato all’Idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975, quando stava ancora completando il montaggio di questo capolavoro. Bertolucci ricostruisce così il pensiero di Pasolini, in un film che bene ne trasmessa l’inquieta amarezza, l’ineluttabile mancanza di speranza. E si fa portavoce di un’invettiva, che oggi ancora, se non di più, ha il sapore della triste verità: il preveggente Pasolini si scaglia contro i giovani, ormai tutti omologati, incatenati in una società che li obbliga a credere in falsi valori ed effimere virtù.

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