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Intervista a Maurizio Sciarra

Cinque anni dopo Alla rivoluzione sulla due cavalli, film che gli è valso il Pardo d’oro a Locarno, Maurizio Sciarra torna con Quale amore, dramma sull’uxoricidio tratto dal romanzo di Tolstoj.

Qual è stato il percorso tra il tuo ultimo film, e questo Quale amore?

Dopo il road movie Alla rivoluzione sulla due cavalli, giocoso, un po’ nostalgico viaggio negli anni settanta e nel mito dell’amore e dell’amicizia eterni che segnarono quegli anni, volevo fare un film che proseguisse il percorso fatto nei primi due, che indagasse l’animo umano, che fosse insieme un film sulla passione e sul vivere quotidiano di due persone che dividono la vita. Volevo indagare i rapporti di forza in una coppia, nel momento in cui l’amore si trasforma in un’arma per colpire l’altro. Un’arma che non sempre è metaforica. Purtroppo, la cronaca è piena di storie di ordinaria violenza dentro le mura domestiche. Storie che non sempre sono frutto di un raptus di follia. Dimostrano invece sempre più spesso la difficoltà a rapportarsi con gli altri, a vivere la continua evoluzione che i rapporti umani comportano, ad adeguarsi ai mutamenti della propria e dell’altrui vita. Perché reinventare il proprio rapporto d’amore ogni giorno costa fatica. E non tutti sono più disposti a investire tempo e sentimenti per rendere ogni giorno nuovo e diverso il rapporto con il proprio partner. In poche parole volevo raccontare l’eterno conflitto tra l’amore passionale e l’amore coniugale. In tutte le sue fasi classiche: dall’incanto dell’innamoramento iniziale, ai primi tempi dorati della convivenza matrimoniale, fino all’insinuarsi delle piccole incrinature e delle mille incomprensioni nel menage quotidiano. E poi la discesa agli inferi: l’odio si alterna e si intreccia all’amore, provoca le liti furibonde su elementi di nessun significato, induce la sensazione di sentirsi in trappola, e insieme il desiderio di tornare alla libertà perduta.

Da dove è nata la scelta di basarti sul romanzo di Tolstoj?

Avevo voglia di fare un film contemporaneo e stavo cercando un testo che mi permettesse di confrontarmi con la realtà di oggi. Nella Sonata a Kreutzer di Tolstoj, un testo che da tempo avevo in mente di mettere in scena, ho ritrovato tutto quello che volevo raccontare. Con pochissime sostituzioni, la vicenda può benissimo svolgersi ai nostri giorni: una sala d’aspetto di un aeroporto invece che l’interminabile viaggio in treno, la Svizzera dell’alta finanza internazionale invece della Russia della grande nobiltà terriera… La vicenda si fa immediatamente “nostra”. Chi non ha vissuto la noia di una fase di stanca nel proprio rapporto? Chi non guarda con terrore alla fine della passione travolgente? Un film sulla coppia, sul possesso, sul dominio che si instaura tra due persone, sulla sopraffazione tra un lui e una lei, resa ancora più violenta dalla presenza di un sentimento che di solito associamo a tutt’altro: l’amore.

La musica è fondamentale nel film…

Lo è in quella sonata di Beethoven per pianoforte e violino, n° 9 in la maggiore, opera 47 Sonata a Kreutzer, così evocativa da farla divenire filo conduttore del racconto di Tolstoj, e quindi del film. È un film quindi che rispetta la struttura musicale, adeguandosi alla tripartizione della Sonata, snodandosi lungo tre movimenti, tanti quanti quelli beethoveniani. E che in qualche modo li riproduce, elaborando visivamente le suggestioni che la Sonata dà.

Quanto è stata importante la ricerca visiva in questo film?

È stata parte fondante del racconto. Le location, i costumi, i colori, la luce: grandi collaboratori, tutti pluripremiati, mi hanno sostenuto con le loro invenzioni. La cinematografia del film, all’apparenza semplice e piana, è questa volta molto complessa. Dover girare scene di concerti, dover prefigurare la durata delle scene musicali prima ancora di iniziare le riprese, implica grande attenzione, studi profondi da fare in fase di preparazione. Mi rendo conto adesso che un altro “codice” del film, oltre a quello “noir”, pure sfruttato a fondo, è quello del musical…

Qual è stato il tuo rapporto con gli attori?

Il film trova la sua forza proprio negli attori. Il gruppo dei protagonisti del film mette insieme due delle caratteristiche che personalmente ritengo indispensabili per fare un buon film: attori bravi, ma anche belli. Di una bellezza però sempre credibile, mai “finta”. I due protagonisti, mostrano in questo film un volto che fino ad ora non hanno mai concesso al pubblico, un lato oscuro e sofferto del proprio animo che già dai provini sono riuscito ad intuire in loro. E poi il nutrito stuolo di comprimari, grandi e generosi attori, molti presi dal teatro. Un cast che mi onoro di aver diretto.

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