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Il richiamo delle arene

Il richiamo delle arene

La lotta in Senegal ha una tradizione lunghissima. Nel XVI e XVII secolo, i re premiavano il vincitore dei tornei concedendogli in sposa la propria figlia. Questo sport popolare ha una tripla radice: mistica, fisica e artistica. Il film di Ndiaye si sofferma sulla sacralità della lotta.
Lo spettatore si unisce al giovane Nalla nella scoperta di un mondo fatto di uomini ancorati a riti, superstizioni, ricordi e leggende. La scuola di lotta che accoglie Nalla è una grande famiglia. Gli allenamenti sono faticosi, ma ciò che si predilige è l’aspetto culturale della tradizione. Il ragazzo, proveniente da una famiglia ricca di Dakar, resta affascinato dal misticismo che avvolge ogni singolo incontro.

Questi giganti neri corrono per ore sulla spiaggia, fanno le flessioni con un compagno steso sulla schiena; ma soprattutto cercano di curare la loro preparazione psicologica. Sostenuti dai griot, sorta di sciamani che cantano per propiziare al lottatore il favore degli dei, i moderni gladiatori offrono sacrifici agli antenati, cercano la concentrazione nella foreste. Perché, come sostiene il campione Malaw: «Un mondo senza griot è come un cibo senza sale». La tradizione non può essere ignorata. È concesso non credere, ma i riti devono essere mantenuti in vita.
Chi si lascia influenzare da nuovi stili di vita, dimenticando le proprie radici, è destinato alla sconfitta. L’essenza della lotta è costantemente minacciata dalle derive occidentali. Sory, un disperato che vende il proprio sangue per sbarcare il lunario, incarna la minaccia occidentale alla tradizione. Accetta di curare le scommesse sugli incontri per conto della mafia di Dakar, costringe la compagna a prostituirsi per finanziare le sue puntate. Tonnerre è uno dei più importanti lottatori del Senegal. Il fascino del mondo consumistico abbaglia anche lui, portandolo a trascurare la lotta per concentrarsi sulle donne e sul denaro. Malaw è l’eroe buono, discende da una famiglia di lottatori e tiene moltissimo al lato mistico della competizione. Il messaggio del film è molto chiaro: solo chi resta fedele alla tradizione può sperare nella vittoria. Un messaggio implicitamente rivolto all’Africa intera.

Lo spettatore resta colpito dalla spiritualità che avvolge la competizione. Con la precisione di un documentario e la solidità di una sceneggiatura avvincente, il regista Cheick riesce a offrire una viva testimonianza di un aspetto importante del suo paese, rendendoci consapevoli dell’esistenza di un’Africa diversa da quella disperata, costantemente proposta dai mass media.

Curiosità
Gli attori cha hanno recitato la parte dei due campioni, sono realmente due dei più importanti lottatori senegalesi.

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