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Come sedurre la Moda senza spogliarsi dell’Anima

Come sedurre la Moda senza spogliarsi dell’Anima

«Un milione di ragazze ucciderebbe per quel posto». Questa frase riecheggia numerose volte nell’arco dell’intera proiezione, attraverso la voce dei più disparati personaggi, da Emily (Emily Blunt), l’assistente più fidata di Miranda Priestly prima dell’arrivo di Andy, al fidanzato di Andy, a Nigel (Stanley Tucci), il braccio destro di Miranda. Ripetendosi quelle parole ogni volta che si è trovata sul punto di mollare, Andy è riuscita a resistere fino alla fine.
Il Diavolo veste Prada esibisce con eleganza e ironico, talvolta sarcastico glamour, un’autentica guerra di potere che si combatte a colpi di tacchi vertiginosi, sofisticate acconciature e intriganti capi d’abbigliamento.
Un’esibizione di potere e di supremazia è il gesto eloquente con cui Miranda ogni mattina al suo arrivo in redazione appoggia, ma sarebbe più corretto dire scaraventa, soprabito e borsa sulla scrivania della sua assistente; gesto ripetuto con l’efficacia e la rapidità che solo il montaggio cinematografico può consentire, esprimendo e riassumendo nell’iterazione del solo movimento di un braccio una pluralità di significati. Alla guerra Miranda invita esplicitamente Andy, secondo il più spietato dei principi: mors tua vita mea. E Andrea sarà così costretta a scegliere di mettere fuori gioco Emily (escludendola dalla settimana a Parigi in vista della quale Emily aveva dedicato tutta se stessa), per non veder vanificata da un istante all’altro la fatica sostenuta fino a quel momento, e conseguentemente sfumati i suoi sogni.

Ma tutto ciò il film lo racconta e lo propone in chiave comica, da vera commedia brillante. Si potrebbe dire che benché lo sceneggiatore Aline Brosh McKenna abbia dichiarato che «Questo film non intende esprimere un giudizio sul mondo della moda. Noi prendiamo questo mondo molto seriamente, e cerchiamo di metterlo in scena in modo realistico», ne Il Diavolo veste Prada è tesa una sottile linea di confine tra realtà e fiaba. Forse perché “i cattivi” sono troppo cattivi, tanto da far scaturire un’atmosfera a tratti grottesca e surreale. Forse anche perché in più d’una circostanza si rasenta l’assurdo: pensiamo a Emily che dice di aver scoperto una dieta molto efficace, e quando Andy le domanda in cosa consista, orgogliosamente risponde «Non mangio nulla. E quando sto per svenire mangio un cubetto di formaggio».
Insomma, anche i personaggi che inizialmente appaiono i più riprovevoli, alla fine riescono ad accattivarsi le simpatie dello spettatore, e – perché no? – a solleticare anche la corda della tenerezza.
Simpatico fin dalla prima apparizione è certamente Nigel, il braccio destro di Miranda, l’unico che possa dirle qualunque cosa, suo amico ma pur sempre alle sue dipendenze. Con il suo snobistico charme, è forse il primo che si affeziona ad Andy aiutandola a riassestare il suo look, che lo spettatore si trova ad ammirare attraverso una soluzione cinematografica di grande effetto: la macchina da presa inquadra la nuova Andy, rimodellata dalla testa ai piedi, e lo fa mostrandocela con una serie di mises diverse che si susseguono rapidissimamente una dopo l’altra nello spazio di un’unica azione, quella di recarsi al lavoro. Quanto a Nigel personaggio, naturalmente anche lui porta le sue ferite di battaglia, che gli hanno trasmesso una saggezza da divulgare in pillole: «Quando sarai allo sfascio nella vita privata, vuol dire che è arrivato il momento della promozione!».

Ma al di là delle schermaglie per la sopravvivenza in una realtà in cui ognuno finisce più o meno involontariamente per essere homo homini lupus, Il Diavolo veste Prada è soprattutto un film sulla moda. Ed è anche fiaba, per la magia e per le atmosfere incantate con cui sceglie di narrarcela. Tant’è vero che per il regista David Frankel la moda «è la ricerca costante della reinvenzione. Perché la moda abbia successo, occorre che ci faccia credere che tutto ciò che possediamo ed indossiamo non è adatto». Frankel ce lo dimostra nel suo film attraverso i colori, le luci, l’uso sapiente della fotografia, ossia con tutti i mezzi grazie a cui spalanca le porte del misterioso e inarrivabile mondo della moda a qualsiasi spettatore, anche al più profano. Tutto ciò che avesse un rilievo estetico è stato curato con un’attenzione quasi maniacale: dalle riprese in esterni (è sufficiente pensare alle vedute notturne di una New York luminosissima e di una Parigi abbagliata dai flash dei fotografi) a quelle negli interni.
Lo scenografo Jess Gonchor ha volutamente creato due mondi contrastanti: la casa di Andy e Nate, essenziale nella sua semplicità, da una parte, e l’abbagliante ma insidioso universo di Miranda Priestly dall’altra. Anche la redazione di Runway doveva naturalmente esprimere il gusto di quest’ultima e la sua ossessione per l’eleganza e la perfezione. Gli interni della redazione, ed in particolare l’ufficio di Miranda, la sala riunioni e la zona di lavoro dei redattori, sono stati a tale scopo meticolosamente progettati e realizzati con abbondanza di vetro e spigoli vivi.
Quanto ai costumi, giocano un vero e proprio ruolo da protagonisti. Va detto che si tratta di costumi autentici, dal momento che l’ambizione è stata quella di dare vita a un film che fosse un ritratto il più possibile verisimile dei giganti della moda.

Curiosità
Il vestito che Miranda indossa al ballo di beneficenza è stato creato da Valentino, per il quale questo film rappresenta anche il debutto cinematografico: «Sono un grandissimo fan di Meryl Streep», ha dichiarato il celebre stilista, «aver avuto anche una piccola particina al suo fianco è stato per me un grandissimo onore».

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