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L’odore del cinema

L'odore del cinema

La tredicesima nota di Alessia Flavia Vitale

Parto indecoroso di una pescivendola parigina, nascosto tra il fetore insopportabile degli scarti, creduto morto, non a ragione, dalla madre “medea”, Jean Baptiste nasce con una dote straordinaria. Un olfatto sovrannaturale il suo talento. Il regno degli odori la sua dimora. Un segugio, un artista geniale capace di creare il più divino dei profumi, potere immane, quanto diabolico, con cui sottomettere il Mondo intero.
Un demonio amorale, che risponde a leggi sconosciute, senza nessun sentimento, nessuna pulsione. Scopo della sua esistenza: creare “il profumo perfetto”. I mezzi per ottenere il fine: dodici innocenti fanciulle dall’aroma sublime, dodici “note”più una: la tredicesima, Laura, unica e paradisiaca.
Divinità anomala, folle e ferina, Jean Baptiste Grenuille. Profumiere alle prime armi, lo scellerato tenta di distillare essenze di vita dalla morte, compito arduo e irrealizzabile. Unico metodo alternativo: carpire i misteri dell’antica arte dell’enfleurage e poter così finalmente conservare gli odori umani.

Una storia affascinante, circonfusa di profumata sensualità. Un assassino rispettoso, che delle fanciulle deflora soltanto l’aroma, niente sangue, nessun segno deturpante sui loro corpi. Un vampiro dunque, mietitore di essenze e bellezza. Profumo come specchio della nostra anima? Perfetto Ben Whishaw nel ruolo, con quella sua aria animalesca, emaciata, impenetrabile. Perfetto il suo silenzio. Perfetto anche Dustin Hoffman nel ruolo di maestro profumiere dalla gloria decaduta.
Le ossessioni del “demonio” vengono narrate da una voce esterna, e così la sua storia e le sue gesta. Il mondo degli odori si colora di immagini vivaci e evocative, stimolando il nostro olfatto oltre la visività dello schermo cinematografico.
Un film intrigante indubbiamente, altalenante purtroppo nella sua realizzazione scenografica. Racconto surreale reso fin troppo “reale” già dall’inizio, precipita nel paradosso dell’estasi corale attorno al patibolo, con manieristica affettazione.

Il corpo, la carne, gli aromi si avvertono ma non si colgono totalmente. Il Settecento, secolo di lussuriosa decadenza (e, per contrasto, di Lumi raziocinanti) non viene “reso” nella sua totalità: costumi ben studiati, luoghi e paesaggi ben ricostruiti, ma senso indefinito, immagini troppo nitide, ritagliate, non abbastanza corporee. Peter Greenaway, col suo The Baby Of Macon (id., 1993), ci ha raccontato la storia di una divinità umana dal destino simile, nel finale, a quello di Grenuille : sangue, carni accalcate, squarci pittorici surreali (quanto reali) testimoni di un’epoca ormai perduta, un Mondo-teatro covile di vizi e virtù. Tikwer, al contrario, non osa. Indulge al surrealismo troppo tardi, esagerando.
Il ritmo traballa (forse un po’ troppo nel corso del film), le musiche si distinguono ma non del tutto. Il gioco di morte tra Laura (la bella dalle chiome rosse) e il suo aguzzino accenna ma non soddisfa. Una buona cornice, insomma, per un contenuto letto e realizzato con occhi fin troppo moderni.

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Jean-Baptiste Grenouille non ha odore; per questo può far proprio ogni altro olezzo, che provenga dalla pelle di una fanciulla o dai petali di un fiore. Neanche il cinema, in quanto mezzo, ha odore (se si esclude quello, francamente eccessivo, dei pop-corn all’interno dei multisala), ed è proprio questa sua deficienza sensoriale che, se ben sfruttata, può permettergli di narrare con assoluta efficacia una storia fatta di tracce, suggestioni e ossessioni puramente olfattive.

Naturalmente ci vuole un regista capace, uno in grado di sfoderare qualche intuizione geniale e realizzarla con uno stile formalmente impeccabile. Un Tom Tykwer, ad esempio.
E poi deve rigorosamente esserci una bella storia, un intreccio solido e articolato che possa avvolgere lo spettatore e “portarlo via”, calandolo nella magia del racconto. Magari un romanzo di fama mondiale, osannato e amato come Il profumo di Patrick Sϋskind.
Non che sia facile trovare ingredienti di tale fattura, né tantomeno combinarli. Come ci insegna l’arte profumiera, basta sbagliare una nota e l’aroma perfetto è perduto.
Diciamo che questa volta, salvo qualche passaggio in cui la narrazione si fa leggermente ridondante, tutto si è concluso per il meglio.

Profumo – Storia di un assassino è uno di quei rarissimi film che, pur essendo tratti da un libro famoso, non spingono a cercare il confronto. Che voi abbiate letto o meno l’(eccellente) opera di Sϋskind non importa: tanto non c’è modo di comparare pellicola e carta. Per quanto l’obiettivo iniziale e l’effetto finale siano sostanzialmente gli stessi, il coinvolgimento dei sensi operato dai due media è troppo diverso.
Dove la parola scritta si insinua, l’ombra viva del cinematografo irrompe. E lo fa attraverso colori, movimenti e musica miscelati con un’intelligenza e una sensibilità magistrali.
Il merito maggiore di Tykwer, d’altra parte, è proprio quello di saper sfruttare il materiale di cui dispone in modo da comunicare allo spettatore anche ciò che non c’è: il profumo, appunto.
E se all’inizio della pellicola quello che ci viene suggerito, tra fiori, violini, interiora di pesce e urla è un odore reale, assolutamente “fisico” e a suo modo tangibile; la magia di questo film sta tutta nella sua capacità, scena dopo scena, di portarci gradualmente verso l’astrazione, giocando con abilità sulla sospensione del giudizio, sul nostro desiderio di credere a una favola ben raccontata.
Il risultato, infine, è l’incanto. Seduti sulla nostra poltroncina, spalanchiamo le narici per goderci a pieno un afrore che non esiste e ciònonostante – ne siamo sicuri – è il migliore che ci sia mai capitato di annusare.
Perfino il lezzo penetrante dei dannatissimi pop-corn, per qualche minuto, sembra scomparire.

Curiosità
La storia di Jean Baptiste Grenuille è stata pubblicata per la prima volta nel 1985, scritta dall’autore Patrick Süskind. Sin dalla pubblicazione, il libro ha riscosso un ottimo successo vendendo, nel corso degli anni, quindici milioni di copie in tutto il mondo. Tradotto in ben quarantacinque lingue diverse, è stato edito addirittura anche in latino.

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