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Melodramma di guerra

Melodramma di guerra

L’America sembra davvero non perdere mai il vizio di autocelebrarsi, se non addirittura di autogiustificarsi. Di farsi super partes e immacolata portavoce del bene, dei valori della patria e della famiglia. Il ruolo di critica, di sarcasmo, di denuncia è relegato in una piccola e nascosta nicchia che fortunatamente negli ultimi anni si sta piano piano facendo strada. Il cinema mainstream rimane comunque sempre ancorato a una certa visuale nazionalista e sembra, proprio mentre la società americana e la sua politica estera offensiva e aggressiva appaiono perdere consensi, arrivare proprio nel momento giusto per dare una mano al potente di turno.

Fin dalla nascita del cinema si è d’altronde capito che poteva essere un potentissimo e formidabile strumento di propaganda e un po’ tutti ne hanno usufruito come hanno potuto. Non è un caso allora che negli ultimi anni brutte pellicole propagandistiche si siano moltiplicate. Ha iniziato Steven Spielberg con Salvate il soldato Ryan (Saving Private Ryan, Steven Spielberg, 1998), poi sono arrivati Pearl Harbor (id., Michael Bay, 2001) e Black hawk down (id., Ridley Scott, 2001), poi ancora We were soldiers (id., Randall Fallace, 2002), infine Alamo – Gli ultimi eroi (The Alamo, John Lee Hancock, 2004). Ora arriva anche The great raid – Un pugno di eroi. Ma ce n’era davvero bisogno? Il film infatti, per nessun motivo, nè registico nè attoriale nè contenutistico, riesce a uscire dagli ormai noti clichè del film di guerra medio, per lo più di propaganda.

Il regista infatti, che forse aveva firmato la sua opera migliore con L’ultima seduzione (The last seduction, 1994), si affida a tutti i mezzi e mezzucci del film bellico di serie: spettacolarizzazione delle scene di violenza, uso e abuso di effetti speciali, svenevoli primi piani su soldati inverosimilmente sempre pettinati e puliti. Nonostante l’utilizzo di materiale d’archivio e filmati di repertorio per meglio contestualizzare e dare veridicità alla messa in scena della storia, il film cade inesorabilmente nel melodramma, diventando un insostenibile polpettone strappalacrime e politicamente discutibile. Talmente urticante da far venire voglia di strizzare di tanto in tanto l’occhio ai cosiddetti cattivi.

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