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Apocalypse zone

Apocalypse zone

Un volto. Una lacrima. Un pianto. Inizia così Free zone, il nuovo film del regista israeliano Amos Gitai. Un’unica inquadratura che regge per quasi dieci minuti, con lo sguardo di Natalie Portman che si fa via via più disperato. Non è un film semplice Free zone, ma il lavoro di un regista che sa sperimentare, senza per questo dimenticarsi che il cinema è prima di tutto l’arte di raccontare una storia.

Dopo la scena iniziale, che racchiude in un’unica immagine l’intero senso dell’opera, Gitai continua le sue sperimentazioni inserendo una serie di flashback realizzati lasciando in trasparenza le immagini del presente e quelle del passato. Metodo rappresentativo complesso, che però ben si integra in una fase della pellicola, quella iniziale, che in realtà è il prologo di un altro film. Perchè quando la donna israeliana e quella americana incontrano la palestinese, inizia un road movie in cui tira forte il vento di Apocalypse now (id., Francis Ford Coppola, 1979). Il viaggio in automobile è per le tre un percorso attraverso le diverse culture di cui fanno parte, oltre che un’introspezione personale. La meta, quell’americano che nell’immaginario non può che ricordare il colonnello Kurtz, viene mitizzato e il suo raggiungimento sembra essere lo scopo finale del viaggio, l’evento che risolverà tutti i problemi. In realtà, con una metafora forse sin troppo esplicita delle problematiche israelo-palestinesi, il tutto viene spazzato via da un imprevisto e si conclude con uno stato confusionario di incomunicabilità.

Gitai vuole insomma con un complesso lavoro filmico rappresentare l’ancor più complessa situazione del suo paese. Ci riesce, malgrado alcuni tratti troppo confusionari, anche grazie alla splendida interpretazione delle tre attrici. Hana Laszlo, premiata per questo ruolo a Cannes, ricorda da vicino Anna Magnani, Hiam Abbass, vista anche nel Munich di Spielberg (id., 2005), è algida e profonda al tempo stesso, Natalie Portman, la “stella” del film, che per ottenere la parte ha tempestato per mesi di fax il regista, dimostra grazie all’indimenticabile prima scena di aver definitivamente raggiunto una solida maturità artistica.

Curiosità
Per Amos Gitai si tratta della quarta pellicola passata nelle ultime sette edizioni del Festival di Cannes. Considerando che nello stesso periodo ha presentato anche cinque film alla Mostra del cinema di Venezia, si può facilmente inserire il regista di Haifa tra i più “festivalieri” in circolazione.

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