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cultura dell'immagine e della parola

I passi che portano lontano dalla strada

I passi che portano lontano dalla strada

Amo gli americani. Li amo perché sono un popolo ingenuo, credulone e capace di seguire ciecamente un ideale.
Odio gli americani. Li odio perché mascherano malizia dietro l’ostentata ingenuità, perché mistificano la realtà e usano i propri ideali come bandiera.
Amo gli americani. Perché sono capaci di creare dei corsi gratuiti di ballo per allontanare i ragazzi dalla strada e da ciò che ne comporta.
Odio gli americani. Perché sono capaci di trasformare lo spirito più meritorio delle proprie iniziative in una competizione spietata in cui sono genitori e insegnanti coloro che bramano maggiormente mettere le proprie mani sull’ambito trofeo.

Il documentario Marilyn Agrelo propone uno sguardo appassionato proprio nella vita di alcuni bambini di New York capace di mettere ingenuamente in luce gli aspetti che mi fanno amare/odiare gli americani. La macchina da presa si sofferma sul lavoro svolto in tre diverse scuole pubbliche di New York che si affronteranno nelle eliminatorie del concorso nazionale di ballo per studenti. Appare ovvio che lo stimolo della competizione è il motore principale che muove i bambini / ballerini ma, sebbene gli insegnanti tengano a sottolineare che per tutti la cosa più importante è “partecipare”, sono proprio gli adulti che maggiormente spingono sul pedale della competizione.

Sacrificio, dedizione, amicizia e la gioia dei trionfi. Il documentario è tutto questo, ma il trionfo principale, quello che rischia di passare in secondo piano rispetto alla vicenda “agonistica” degna di Sister Act (id., Emile Ardolino, 1992) o del recentissimo Ti va di ballare? (Take the lead, Liz Friedlander, 2006 – film ispirato proprio dall’esperienza delle scuole Newyorkesi) è proprio la capacità che questo tipo di corso ha di recuperare ragazzi dalle situazioni difficili, che rischiano di perdersi in amicizie sbagliate fatte per le strade dei quartieri meno agiati, dei loro miglioramenti comportamentali nonché scolastici. Senza dimenticare lo spunto antropologico offerto dagli imbarazzi di giovani individui che cominciano a confrontarsi con l’altro sesso.

Stupisce l’apparente freschezza dei ragazzi protagonisti, assolutamente a loro agio di fronte alle telecamere, tanto da rendere lecita la domanda se questa scioltezza sia frutto del lavoro meticoloso della troupe documentarista o se le giovani generazioni, cresciute a omogeneizzati e reality, non provino più alcun imbarazzo davanti all’obiettivo della macchina da presa.

Curiosità
Il film ha fatto una strage di premi (soprattutto del pubblico) in festival di mezzo mondo (Philadelphia, Karlovy Vary, Cleveland, Chicago, Malibu, Berlino).

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