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In fuga per te

In fuga per te

Difficile non avere un’insistente impressione di déjà vu, mentre Uno zoo in fuga anima lo schermo. Il richiamo a Madagascar (Eric Darnell, Tom McGrath, 2005) della concorrente DreamWorks di Steven Spielberg è fin troppo evidente: siamo ancora nello zoo di New York e un leone, Samson, ammirato e contafrottole ne è la star indiscussa. C’è anche un’acuta giraffa, Bridget, e fin qui nulla di nuovo…Conosciamo poi il goffo ma tenero koala Nigel, il divertente scoiattolo Benny e Larry, un’anaconda tontolona; tutti, finito lo spettacolo, alla chiusura del giardino, cominciano a “vivere” segretamente, praticano sport e raccontano ai piccoli le loro meravigliose gesta, ai tempi della passata – presunta – vita in cattività. Compaiono persino i pinguini, ora odiosi e sleali avversari in una partita di curling (con una tartaruga al posto del disco) e non esilaranti agenti in missione speciale “fuga”, come in Madagascar.

La versione Disney incentra il plot sui rapporti con l’altro e sui sentimenti: la crisi d’identità di un figlio che avverte il modello paterno come inarrivabile e schiacciante (il leoncino Ryan non riesce a ruggire ma miagola come un gattone), l’importanza dell’amicizia e il valore della sincerità, gli “amori impossibili” (lo scoiattolo Benny adora e corteggia la giraffa Bridget), la mercificazione del proprio essere in qualcosa che non appartiene e che invece appare l’unica autentica immagine che il mondo sembra riconoscere (il povero koala ha, suo malgrado, un alter ego, ovvero la mascotte dello zoo, mielosa versione peluche parlante di se stesso).
In un frenetico avvicendarsi di piacevoli battute, gag e situazioni paradossali – vedi l’incontro nelle fognature con i due alligatori dal divertente accento siciliano – il re leone con al seguito l’esuberante e sgangherato gruppetto di amici prima si avventura nella jungla metropolitana, territorio dalle mille insidie per chi proviene da una gabbia dorata, poi sbarca in Africa – altra analogia con Madagascar – per recuperare il piccolo Ryan, salito per sbaglio su un container che lo scaricherà su una nave con destinazione il continente nero.

Il viaggio si rivelerà formativo per tutti, – l’intento della Disney è sempre più o meno pedagogico – a cominciare dal padre fanfarone che svelerà la verità sul suo passato, meno eroico di quanto non fosse nei suoi epici racconti al cucciolo Ryan, e che dovrà confrontarsi sul serio con l’habitat “wild”, affrontando l’esaltato leader di un branco di gnu, pronto a sovvertire la catena alimentare.
Uno zoo in fuga scivola via con ritmo e vivacità e con l’indiscutibile pregio di non essere continuamente gonfiato da assordanti intermezzi musicali o sovraccarico di effetti speciali. Conduce alla conclusione un racconto onesto, seppur in parte già noto e prevedibile e in fondo non manca di una sua vena satirica, che irride anche antichi moralismi (ad esempio l’inaccettabilità dell’amore fra diversi), tuttora persistenti.

Curiosità
L’esordiente regista Steve Williams è un veterano degli effetti speciali, li ha curati per titoli come Abyss, Caccia a Ottobre Rosso, Jurassic Park, L’eliminatore, Spawn, Terminator 2, The mask.
Nella versione originale Keifer Sutherland e James Belushi prestano le loro voci rispettivamente al leone Samson e allo scoiattolo Benny.

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