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cultura dell'immagine e della parola

Reazioni allergiche

Una pericolosa coincidenza. Di quelle che dovrebbero far suonare un campanello d’allarme nella testa di chi si occupa di televisione.
Prendiamo tre programmi-simbolo di quella che, con un termine un po’ vago, definiamo la “Tv di qualità”. Scegliamoli in modo che siano rappresentativi della produzione dei tre gruppi televisivi nazionali: un programma Rai, uno Mediaset e uno di La7.
Prendiamo Blob (dal lunedì al venerdì ore 20.10, sabato e domenica ore 20.00, Raitre) di Enrico Ghezzi, il Mai dire Grande Fratello e figli (lunedì, ore 23.45, Italia1) della Gialappa’s Band e I migliori nani della nostra vita (sabato, ore 20.30, La7), che segna il ritorno televisivo di due grandissimi autori come Ciprì e Maresco, assenti dal piccolo schermo dai tempi di Cinico Tv.
Tre bei programmi, su questo non ci piove. Per quel che ne so io piacciono alla critica e hanno un buon seguito di pubblico. Il fatto che esistano ci dovrebbe invogliare all’ottimismo. Con tre format di questo livello la televisione italiana dovrebbe potersi dire salva dalle derive più trash, dal nuovissimo Mercante in Fiera alla ormai conclamata volgarità della maggior parte dei salotti pomeridiani.
Suvvia, la Tv di qualità esiste. Ne abbiamo la prova.

E invece un brivido freddo mi corre lungo la schiena. Perché se li osserviamo con attenzione, questi tre programmi sono legati da un tratto comune inquietante.
Sono tre specchi deformanti della realtà televisiva. Attraverso modalità differenti producono buona televisione riutilizzando il peggio del teleschermo. In un certo senso sono programmi di denuncia: il loro trait d’union è la rielaborazione originale di uno scenario di progressivo declino.
Blob utilizza il montaggio, Mai dire grande Fratello (anche se la sensazione è che col tempo sia diventato più che altro uno strumento di promozione dell’orrido GF) la lettura metatestuale, I migliori nani della nostra vita la messa in scena di un artefatto – una sorta di “varietà dell’orrore” – che riflette in modo abnorme le deformazioni della Tv contemporanea.
Non c’è nulla di male in tutto questo, per carità. Il problema è che nessuno sembra cogliere il disagio sotterraneo che questi format provano a veicolare.
Il fatto che il meglio della produzione catodica attuale sia una denuncia più o meno velata della drammaticità della situazione televisiva dovrebbe quantomeno farci riflettere. Quando si mettono in moto anticorpi così potenti, il contagio è già in stato avanzato.
Il fondo si avvicina: ce lo stanno dicendo i primi della classe.

Forse sto estremizzando. Non è detto che la situazione sia irrecuperabile: in fondo, per quanto riguarda l’anno televisivo 2005/2006, la fiction ci ha dato (Desperate Housewives) e ci darà (Lost) qualche soddisfazione. Fabio Fazio, col suo Che tempo che fa non perde un colpo. E io stesso ho applaudito su queste pagine Le invasioni barbariche della Bignardi.
Però l’abisso è più vicino di quanto possa sembrare. E il ruolo della critica dovrebbe, almeno in questo caso, essere quello di sentinella.
Se guardiamo agli ascolti, il timore più grande è che si stia formando una generazione priva di punti di riferimento qualitativamente validi.
[img4]Penso ai ragazzini cresciuti tra Grande Fratello, Isola dei Famosi, Amici di Maria De Filippi e serie americane di dubbio gusto. Su che cosa fonderà il proprio gusto questa nuova generazione? I cuccioli di telespettatore saranno un domani in grado di comprendere la satira, se oggi nessuno si prende la briga di spiegargliela? Sapranno distinguere la realtà dal reality?
Nell’attesa che nei programmi della scuola dell’obbligo sia inserita come materia curricolare l’Educazione all’audiovisivo (a mio parere fondamentale vista l’egemonia culturale del medium televisivo), possiamo solo girare la domanda ai direttori di rete, agli autori dei programmi e ai curatori dei palinsesti.
Ammesso (e non concesso) che la questione sia rilevante anche dal loro punto di vista.

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