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cultura dell'immagine e della parola

Le due facce della luna

Le due facce della luna

«Sei una perfetta caricatura di te stesso»
Bret Easton Ellis è uno scrittore affermato. Bret Easton Ellis è un uomo ricco e di successo. Bret Easton Ellis ha una moglie bella e desiderata e una famiglia da conquistare. In poche parole: Bret e Bret Easton Ellis. Due persone completamente diverse.
Come farà uno scrittore che ha già toccato l’apice del successo e ha vissuto nella più sfrenata dissolutezza tra i grattacieli di Manhattan a diventare di punto in bianco un buon padre e un marito affettuoso? Dopo tre mesi è già in crisi con la moglie, suo figlio lo ignora, la bambina è imbottita di psicofarmaci, il cane lo odia e lui ha ripreso a farsi e a bere, e non riesce a calarsi nel nuovo ruolo. In più qualcosa di misterioso e terrorizzante sta accadendo, un’inquietante presenza incombe… o si tratta solo di un’allucinazione?

«E ora è arrivato il momento di tornare nel passato»
Inizia la storia, quella (apparentemente) reale, almeno così ci dice Ellis. Fin da subito un ritmo sinusoidale ci tiene incollati alle pagine, lasciandoci nell’incertezza di trovarci di fronte alle immagini prodotte dalla mente allucinata dello scrittore oppure a dei fatti che stanno realmente accadendo intorno al 703 di Elsinore Lane. L’ossessione del fantasma del padre tornato per dirgli qualcosa, la sanguinosa apparizione di Patrick Bateman (il killer di American Psycho), la misteriosa scomparsa dei bambini, la casa, il passato dimenticato…

«Era quello che stavo aspettando. Faceva tutto parte della narrazione»
Ma Bret è al centro di tutto. E la storia avanza come se ci fosse qualcosa sotto la superficie delle cose, come un puzzle intricatissimo di indizi che si aggiungono man mano, ma che hanno significato solo per lui. Un turbine scomposto che sembra volerci tenere distanti dalla verità, tra ingorghi della psiche, scatti di lucidità e pensieri estemporanei. I personaggi dei suoi libri sono entrati nella vita vera. È Bret che parla con Ellis, l’uomo che tenta di negare lo scrittore. Ma le due parti della vita si sono mescolate e Bret non riesce più a distinguerle, non riesce più a distinguere la realtà dall’immaginazione. E con lui, neppure noi ce la facciamo.

Il finale
Lunar Park è una ferita, come quelle provocate da TERBY, il bambolotto che si inviscera nei corpi e li squarcia da dentro come una domanda insistente, un rovello (YBRET, ovvero “why Bret?”), un tentativo di avvicinarsi alla verità. È una storia di padri e figli: così simili, ma così distanti.
Chiunque di voi abbia delle ossessioni, delle paure, chiunque di voi sia stato un figlio, veramente, almeno per qualche ora nella sua vita, troverà delle risposte, dei ricordi nascosti, o il conforto di un abbraccio mancante, li troverà «sempre qui, quando vorrà, proprio qui, le braccia aperte pronte ad accoglierlo, tra le pagine, dietro la copertina, alla fine di Lunar Park».

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