hideout

cultura dell'immagine e della parola

Kosher da matti!

Kosher da matti!

Le regole che deve seguire un ebreo Kosher sono molte e assai rigide. “Kosher” significa permesso, ovvero ciò che è permesso fare. La diaspora, ovvero l’emigrazione del popolo ebreo in vari luoghi del mondo, spiega perché gli usi e costumi legati a questo tipo di tradizione varino da paese a paese. Il rituale Kosher cambia a seconda della sede delle comunità ebraiche: nel bacino del Mediterraneo (Comunità Sefardite), nell’Europa centro-orientale (Comunità Ashkenazite) o nel Levante (Comunità Levantine). Cucinare Kosher, per gli ebrei osservanti, non vuol significare soltanto mantenere una tradizione, salvaguardare alcune norme igieniche, ma ha anche il significato di santificare l’atto del pasto (Qedushah). Come tutti i precetti ebraici, che spronano a rivestire di sacralità ogni atto della vita quotidiana, anche il cucinare kosher funge da stimolo alla ricerca interiore. Agli ebrei che hanno numerose regole alimentari sono vietati i molluschi e i crostacei e la carne di maiale. Anche la carne degli altri animali è sottoposta a precise regole di macellazione. La carne inoltre non può essere conservata insieme ad alcun tipo di latticino.

Un breve compendio di cultura ebraica è necessario per poter meglio comprende l’arguzia espressa dal regista Dany Levy nel suo film, nel descrivere due modi assai diversi di vivere il proprio ebraismo, che dovendo venire a contatto sono destinati ad esplodere in una serie di esilaranti situazioni paradossali. Nel cinema esiste una lunga tradizione di umorismo ebraico. Woody Allen, Ernst Lubitsch, Mel Brooks, Moni Ovadia, sono alcuni artisti e intellettuali di origine ebraica che hanno fatto della comicità, fatta di sguardi cinici rivolti alle proprie origini, una bandiera del proprio essere. Il regista Dany Levy sostiene che nell’umorismo ebraico ci sia qualcosa di speciale: «Gli ebrei si trattano senza imbarazzo, sono spesso politically uncorrect ed autoironici. L’umorismo ebraico guarda alla gente sfacciatamente, con passione, ma senza scivolare nel ridicolo».

Il tema centrale del film di Levy ruota attorno alla famiglia. Zucker è cresciuto nella Germania dell’Est, lasciato dalla madre e dal fratello rifugiati all’Ovest. Le strade con gli anni si sono allontanate in modo sempre più evidente. Zucker, divenuto giornalista sportivo, abbraccia le idee comuniste mentre il fratello prosegue nella tradizione ebraica. Il collasso arriva quando i due fratelli sono costretti a confrontarsi, per volere della madre appena defunta, dopo anni di silenzio reciproco. In gioco c’è una misteriosa fortuna che rischia di finire nelle mani del rabbino della comunità, nel caso i due fratelli non riescano a ritrovare un dialogo.
Così Zucker, senza un soldo e col rischio di finire in carcere per colpa dei suoi debiti, trova come possibile via d’uscita il cospicuo premio in denaro di un torneo di bigliardo. Il funerale della madre e lo shivà (i sette giorni di lutto che genitori, figli, fratelli, coniuge osservano dopo il decesso di un parente) rischiano di fargli perdere tutto. Zucker, in un gioco paradossale sul filo delle regole dettate dalla tradizione, cercherà di vivere questa settimana di lutto in modo da riuscire a scongiurare il carcere. Era dai tempi di Goodbye, Lenin non si vedeva nelle nostre sale una commedia di origine tedesca così brillante e godibile.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»