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Processo all’esorcista

Processo all'esorcista

Mescolare un classico horror in stile L’esorcista (The exorcist, William Friedkin, 1973) con un legal thriller dal sapore teologico. Senza dubbio interessante l’idea da cui è partito Scott Derrickson, già regista di horror di serie B e soggettista di La terra dell’abbondanza (Land of Plenty, Wim Wenders, 2004), qui alla sua prima grande produzione. Il tentativo del regista è stato quello di creare continui climax utilizzando le parti horror come apici di una “tensione intellettuale” (così definita dallo stesso Derrickson) generata dalle fasi del processo.

Il problema di The exorcism of Emily Rose (perché poi non tradurre il titolo?) risiede principalmente nella parte horror, che aggiunge ben poco a un genere di cui ormai si è detto tanto se non tutto. Peccato che questa mancanza di mordente finisca per far perdere valore anche alla parte processuale, che in alcune sue sfaccettature è interessante, ma perde spesso di credibilità quando affiancata alle scene dell’esorcismo. Per inventarsi qualcosa rispetto alle decine di epigoni del film di Friedkin, Derrickson ha cercato di legare la soprannaturalità dell’esorcismo più alla bravura dell’attrice che agli effetti speciali o al trucco. Senza nulla togliere a Jennifer Carpenter, che per ora avevamo conosciuto solo in piccole parti di film ancora più piccoli e che in alcuni momenti riesce a essere davvero impressionante, senza una sceneggiatura di ferro in un film del genere anche la migliore interpretazione rischia di cadere nel ridicolo. Invece, le urla e le contorsioni di Jennifer finiscono per essere più una buona prestazione fisica che un elemento davvero integrato nel film. La parte horror si trascina così verso un finale che riesce ad abbattere ogni speranza di salvezza non solo nel corpo di Emily, ma anche nelle menti degli spettatori.

Ed è un peccato, perché a guardare solamente la parte processuale, non sarebbe certo un film da buttare. Escludendo il finale forse troppo semplicistico (ma anche l’episodio realmente accaduto da cui è stato tratto il film ha avuto la stessa conclusione), la lotta tra i due avvocati, tra chi sostiene la natura paranormale del fatto e chi invece ritiene si tratti solo di una malattia mentale, è ben rappresentata. Laura Linney e Tom Wilkinson riescono a renderla credibile con una recitazione molto teatrale ma sempre nei limiti. In particolare il personaggio interpretato dalla Linney, pur non spiccando per originalità, finisce per essere il più interessante dell’intera pellicola.
Sta di fatto che The exorcism of Emily Rose non può di certo essere considerato un legal thriller, e chi va a vederlo non si aspetta di trovarsi davanti a un derivato di John Grisham. Mescolare i generi può essere un’avventura rischiosa, portare a piccoli capolavori ma anche a pellicole imbarazzanti. In questo caso di certo non si tratta di un capolavoro.

Curiosità
Il film, costato venti milioni di dollari, è stato una delle sorprese della stagione americana, incassando quasi quattro volte tanto.

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