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Incroci di cowboy

Incroci di cowboy

È difficile comprendere a fondo quale sia l’alchimia che compone l’essere di un grande regista. Quali siano le caratteristiche e le capacità che contraddistinguano il genio da un mestierante. Wenders è senza dubbio un regista che anche a un pubblico neofita può apparire prossimo alla prima categoria nonostante l’indubbia difficoltà di lettura delle sue opere. Prendiamo ad esempio il singolo fotogramma di Don’t come knocking scelto per la locandina del film. Vediamo un incrocio stradale, in mezzo a case basse, semplici, di un paese della periferia del sud degli Stati Uniti, dove ti aspetteresti di veder passare lentamente un anziano signore alla guida di una tagliaerbe. L’incrocio, come il crocevia o lo scambio ferroviario, è metafora di un destino che si avvicina a una svolta, al cambiamento di una vita intera. Howard Spence, attore di film western di notoria fama effettua questa scelta nel momento in cui fugge dal set, evade da una routine che ormai non sente più sua e imbocca una strada che lo riporterà verso una donna amata fugacemente e un figlio nato da quegli attimi, di cui non aveva mai saputo nulla. Quella strada lo porterà nel bar dove ancora lavora quella cameriera che si era lasciata sedurre dal giovane attore che era.

Ancora all’incrocio. Noti qualcosa di finto nell’immagine, quasi fosse la fotografia di un luogo artefatto, costruito per l’occasione, freddo e impersonale, quasi dipinto. Sì, la parola giusta è dipinto perché il ricordo che riaffiora nella mente è quello dei quadri di Hopper, il celebre The Night Hawks in cui quattro personaggi animano le linee orizzontali e verticali minimali che compongono il più famoso bar della pittura contemporanea. Forse in modo ancor più evidente di Hopper, Wenders dipinge lo squallore della periferia e il grigiore delle anime che la abitano attraverso immagini che si potrebbero definire architettoniche, con tagli fotografici di affascinante bellezza capaci di congiungere un cielo immenso a una terra dove gli angeli sono ormai caduti. Così anche il vicolo dove sono accatastati i mobili, gettati dalla finestra dal figlio furibondo (Gabriel Mann), diventa un luogo pittorico di indubbio fascino.

Torniamo all’incrocio e al bar. Marc Augé ci ha illustrato come esistano dei non-luoghi, ovvero dei posti senza storia dove le persone non sono che individui in transito, punti sfuggenti che risentono del principio di indeterminazione, per cui il solo guardarli provoca delle reazioni innaturali. Sono luoghi dove si stringono amicizie illusorie, si consumano amori che svaniscono in una notte ma che a volte gettano un seme che metterà radici. Così Howard scopre dentro di sè uno spirito paterno che gli è sempre stato estraneo, e dal set (altra variazione di non-luogo) ripercorre la sua vita a ritroso alla ricerca di una risoluzione di quelli che sono stati i suoi errori.
Wenders e Shepard si ritrovano quasi venti anni dopo Paris, Texas (id., 1984) invecchiati e maturati, confrontandosi su temi simili (il rapporto padre / figlio, l’amore ritrovato…) ma su terreni diversi, tanto quanto i due film sono diversi. Il film si chiude nuovamente su di un incrocio in cui i cartelli segnaletici indicano due direzioni: Wisdom (saggezza) e Divide (diviso).

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