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Al di là della notte

Al di là della notte

In questi giorni se entri in quel tempio del gusto che ha nome Blockbuster (e se ci entri, già non hai più il diritto di lamentarti, ma sorvoliamo) puoi vedere, da lontano, un intero muro monocromo. Subito ti dirigi verso di quello, ipnotizzato, già la mano al portafoglio.
Poi ti avvicini, e al progressivo prevalere delle tinte marrone, oro, arancio, qualcosa inizia a muoversi nella tua mente. Pensi: cos’è? è uscito La mummia 4? Ma non era appena uscito il 3?
Quando arrivi presso la parete, vedi: è nientemeno che Il mistero dei templari (National Treasure, Jon Turteltaub, 2004). Distribuzione Buena Vista (Disney), faraonica come la piramide che svolazza in locandina al film, dietro la posa di Nicholas.
E tu, che sei da poco andato al cinema a vedere Tu devi essere il lupo, pensi: vabbè, grazie al cazzo.

Tutta questa edificante premessa per dire che un bel film come Tu devi essere il lupo, regista Vittorio Moroni, che ha sudato sangue per distribuire il proprio lavoro e ha dovuto addirittura fondare una società per riuscire a farlo, merito anche dei lumi del governo Berlusconi, rifratti in questo caso dalla persona del ministro Giuliano Urbani, che con la legge che porta il suo nome ha dato il colpo definitivo a un ambiente già asfittico, iper-prudente, strangolato dalle logiche di “cassetta”, termine orribile che fa venire in mente quella del gatto, di cassetta, e quello che c’è dentro, insomma un film come Tu devi essere il lupo ti fa gridare vendetta a Dio quando poi vedi lo sforzo distributivo della Disney per una roba come Il mistero dei templari.

Il lupo è ciò che devi diventare per scoprire il lato nascosto della vita, ciò che sta al di là del bosco, in fondo alla notte. Il bosco fa paura, il lupo pure, ma se non lo fai e rimani alla tua vita rassicurante tra l’erbetta, non saprai mai cosa ti perdi, non potrai mai assaporare pienamente ciò che hai, capirne il valore.
Nell’opera di Moroni, il lupo lo diventano per forza un po’ tutti: Valentina che ritorna in Italia per vedere la figlia che ha abbandonato, Carlo che ritrova Valentina e il passato che ritorna, facendogli ricordare che Vale, la figlia di Valentina, non è figlia sua, Vale che vede Carlo farsi più distante e progetta la fuga, il viaggio dentro il bosco.

Nella natia (di Moroni) Valtellina e in Portogallo, due nature aspre, di asprezze diverse e opposte, si svolge la storia di una famiglia non biologica ma affettiva, l’amore di una donna per la figlia che ha abbandonato, l’amore di un padre per una figlia che non è frutto del suo seme. Lo scopo dichiarato di Moroni era quello di osservare, raccontare, la difficile (ma possibile, perché il mondo non sai mai cosa ti riserva) esistenza di rapporti che non hanno niente di convenzionale, e forse proprio per questo sono più forti, anche a rischio di diventare esclusivi. Merito anche di tre attori fuori dall’ordinario: più teatrale, ma bravo, Ignazio Oliva (Carlo), semplicemente vere e reali le due Valentine, Valentina Carnelutti (la madre), già in La meglio gioventù (Marco Tullio Giordana, 2003), e l’esordiente Valentina Merizzi (Vale, la figlia), due attrici vere che non recitano, non hanno bisogno di recitare, e fanno pensare che è un documentario quello che stai guardando non un film, e il fatto che Moroni sia anche regista di documentari forse riannoda qualche filo.

La lunga, splendida sequenza di Carlo e Valentina, nel bosco, sotto la pioggia, se la dovrebbero vedere tutti quelli che in Italia hanno qualcosa a che fare con il cinema, se la dovrebbe vedere Urbani, e i distributori, perché immagino lo sconforto e la rabbia di Moroni e di tutto il cast del film al momento di avere concluso un’opera così bella e vedere che nessuno ha il coraggio, la libertà soprattutto, di credere nel cinema. Per fortuna è nata Myself, associazione fondata dagli autori del film per trovare capitali per distribuirlo, ma che siano stati costretti a tanto la dice lunga, sullo stato delle cose in questo Paese.

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