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cultura dell'immagine e della parola

Sex & The Tv

Dovendo scrivere di capezzoli turgidi, labbra carnose e natiche sode, decido subito di adottare un approccio scientifico e mettere da parte qualsivoglia valutazione morale (cha delego allegramente al libero arbitrio del singolo). Da bravo critico televisivo scelgo quindi di concentrarmi sul medium e su quali siano le strategie più efficaci per rappresentare la sessualità sul suo schermo.
Mi viene prontamente in aiuto un mostro sacro: Marshall “Villaggio globale” McLuhan.
Lo splendido sociologo canadese ha scritto nel 1964 un libro che risulta tuttora più innovativo dei tre Matrix messi insieme. Si intitola Gli strumenti del comunicare e, tra le altre cose, sviluppa un concetto a dir poco affascinante: esistono media caldi e media freddi.
Per farla breve – e tornare in fretta alle irsuzie inguinali da cui muove questa riflessione – vi posso dire che i media caldi sono quelli “ad alta definizione”, cioè i mezzi di comunicazione che estendono un singolo senso fino a saturarlo. Per definizione, richiedono una scarsa partecipazione allo spettatore.
I media freddi sono invece “a bassa definizione”, non arrivano a saturare alcun senso e dunque esigono una forte partecipazione da parte del pubblico, che deve integrare e in qualche modo “completare” il messaggio debole che gli arriva.
La televisione, essendo a bassa definizione (schermo piccolo, audio pessimo e resa del dettaglio imbarazzante), è un classico esempio di medium freddo. Pertanto ci impone di utilizzare tutte le nostre facoltà affinché ciò che ci trasmette risulti effettivamente percepibile e di conseguenza efficace.

A questo punto – sempre che non abbiate abbandonato l’articolo per correre in biblioteca a tuffarvi in un McLuhan d’annata – vi starete giustamente chiedendo:
«Come intendi applicare queste straordinarie nozioni alle cosce sudate che ci propone il teleschermo?»
Prendiamo un tipico prodotto erotico televisivo, diciamo Sexy bar (tutti i giorni, ore 23.30, emittenti locali). Ecco che ci viene mostrato uno spogliarello. Noi consumati telespettatori lo guardiamo e prontamente lo integriamo con qualche fantasia sessuale. A livello linguistico il procedimento funziona senza intoppi: il mezzo catodico è stato utilizzato correttamente.
Ora spostiamoci su Italia1, rete giovane e giustamente rampante. I più smaliziati di noi si accorgeranno subito che anche qui il materiale erotico è di casa: i dieci minuti finali di Studio Aperto (quelli dedicati ai calendari, e in generale alle bellezze dello show-business) o una qualunque puntata di Lucignolo ci mostrano esattamente la stessa quantità di materiale anatomico del caso precedente.
L’obiettivo, come per qualunque prodotto confezionato per la Tv commerciale, è quello di alzare gli ascolti. Il procedimento è esattamente lo stesso del programma erotico di cui discutevamo prima. Il paragone è dunque lecito.
Qui, però, il meccanismo si inceppa. Volendo la rete salvaguardare agli occhi di tutti la propria immagine rassicurante, le abbacinanti nudità ci vengono ora proposte in forma di notizia. Un giornalista o uno speaker le commentano, attorno a loro viene creato un contesto a base di “star system” e “nuove tendenze”. Lo spazio lasciato alla nostra capacità di completare il messaggio viene drammaticamente eroso, la partecipazione si azzoppa.
Allo zelante critico televisivo tocca prenderne atto: il mezzo non è stato utilizzato con perizia. Il risultato è mediocre.
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Siamo così giunti al momento delle mie personalissime considerazioni finali:
A prescindere dalla nostra visione etica, possiamo distinguere tra un erotismo televisivo di qualità e un erotismo televisivo scadente
A fare la differenza è la capacità da parte degli autori di sfruttare in modo corretto le caratteristiche del mezzo
Il modo più corretto di utilizzare il mezzo è quello di lasciare spazio allo spettatore, mettendolo in condizione di completare il messaggio.
In questo caso specifico, la trasparenza d’intenti aiuta a realizzare un buon prodotto.
Gli strumenti del comunicare è un gran libro, dovremmo leggerlo tutti almeno una volta nella vita.

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