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cultura dell'immagine e della parola

I giovani e il tempo televisivo


Nel corso delle ultime settimane ho voluto concentrare il mio consumo televisivo su di un genere specifico: la tivù per i giovani.
Insomma, se devo essere considerato un “segmento di mercato” ci terrei quantomeno a essere un segmento competente e autocosciente.
Il materiale catodico non manca: se è vero che i reality show sono momentaneamente in pausa estiva, noi cuccioli d’adulto possiamo comunque risollevarci gli animi con svariate offerte. Basti pensare alla programmazione di Italia Uno, “rete giovane” per eccellenza, che tra le altre cose ci propone un telegiornale (Studio Aperto) interamente modellato sulle nostre esigenze (anche se una testata giornalistica che dedica più spazio a Fedro che a Ciampi a volte mi lascia perplesso) e un magazine come Lucignolo, che ci esplora fin nella nostra intimità.
Se dovessi però indicare un emblema della gioventù televisiva, non avrei esitazioni nello scegliere Ghedappa, un piccolo capolavoro di coerenza nascosto tra le pieghe del day-time.
Si tratta di un messaggio promozionale di neanche due minuti, pensato per il pubblico giovane e strategicamente inserito nella pausa pubblicitaria che precede Futurama. Credo che esista ormai da qualche anno. La sua formula non è cambiata nel corso del tempo: un piccolo impianto narrativo degno dei tempi del Carosello introduce la giusta esaltazione del prodotto in esame (prodotto rigorosamente giovanile: dagli snack ai servizi per telefonia cellulare).
Gli aspetti assolutamente folgoranti di Ghedappa sono in realtà due: i protagonisti, dei tardo-ventenni belli come giovani semidei, e le situazioni in cui vengono calati, che vanno dal gioco della bottiglia alla conquista di una ragazza tramite sms. Tutto questo secondo un modello seriale, che vede situazioni analoghe ripetersi ogni giorno alla stessa ora per tutta la stagione televisiva.
Ora, mi rendo conto di essere spiacevolmente incline a esprimermi attraverso forme di ironia malcelata, ma per una volta vorrei evitare di “sparare sulla Croce Rossa”.
Perché Ghedappa presenta, quantomeno a livello metatelevisivo, un innegabile fondo di genialità, che lo rende una spia potentissima della situazione attuale.
La rappresentazione dei giovani che propone è in realtà molto realistica, soprattutto nel momento in cui pensiamo i suoi protagonisti come “attori che stanno comparendo sul piccolo schermo”.
Mettendo da parte il significato più palese delle storielle messe in scena, rimane l’immagine di un gruppo di ragazzi perfettamente alla moda che pubblicizzano prodotti giovanili su una rete commerciale. E non ditemi che questo non è rappresentativo dell’attuale gioventù: insomma, le code bibliche che ogni anno si formano in occasione delle selezioni del Grande Fratello significheranno pure qualcosa.
Provando a elevare al rango di “studio sociale” queste osservazioni spicciole, sono persino arrivato a figurarmi un piccolo sistema teorico di cui vorrei rendervi partecipi.
C’è uno studio del Censis, presentato nel 2002 e intitolato Giovani lasciati al presente, il cui risultato indica che i giovani di questo inizio millennio hanno grandi aspirazioni e progetti per il futuro, ma al contempo non se la sentono di prendere impegni duraturi o a lungo termine.
Collegando questa indagine al panorama televisivo attuale, mi viene da pensare che sia in atto una sorta di “slittamento” tra tempo reale e tempo televisivo. Mentre i programmi per giovani tendono ad ampliare i propri confini temporali secondo la formula del reality show (quindi seguendo i protagonisti in ogni ora del giorno), i giovani “televisivizzati” tendono invece a comprimere le proprie esperienze riducendole alla durata di un format.
In pratica: il giovane ambizioso non ha bisogno di anni di studio e pratica per raggiungere il successo. Per realizzarsi gli basta una stagione tra gli Amici di Maria De Filippi o al Grande Fratello, all’interno cioè di un programma che gli darà una visibilità totale in spazi sempre più ampi del palinsesto televisivo (che ormai è diventato una dimensione parallela del vivere, una sorta di “mondo nel mondo”).
Se la mia teoria è corretta, abbiamo sotto gli occhi uno splendido esempio di convergenza tra i formati televisivi e gli usi sociali che i destinatari (cioè coloro che compongono il famigerato “target”) ne fanno.
Ma forse è ancora presto per dirlo, e in realtà le tendenze diventano intellegibili solo quando si concludono.
Per restare in tema, ci conviene “dare tempo al tempo”.

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