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Un Omero postmoderno


In questi giorni, che hanno seguito l’uscita del secondo e ultimo volume di Kill Bill di Quentin Tarantino, molti commenti hanno gravato su di esso. Tra questi vi è quello degli entusiasti che vedono in questo Tarantino epico la reincarnazione di Omero nella nostra epoca. Un Omero postmoderno (quindi con tutte le dimensioni del paragone al loro posto) che mangia un kebab, indossando una maglietta del Che sopra un paio di jeans Levi’s.

Il passaggio dal minimalismo all’epica nel cinema di Tarantino.
Questo paragone, pur essendo, a mio avviso, esagerato, non è totalmente fuori luogo. Dobbiamo infatti riconoscere che Kill Bill è una delle espressioni più alte che il cinema postmoderno potesse toccare, soprattutto da un punto di vista escatologico e concettuale, prima che artistico. Facendo un analisi “sociologica” del cinema del regista possiamo notare come Tarantino passi dal minimalismo de Le Iene (Revoir Dogs, 1992, 95’ USA,) all’epica dell’ultima opera, attraversando le tappe doverose di Pulp Fiction (USA, 1994, 147’), in cui il minimalismo riesce ad assumere il volto dell’epica nella vicenda di Butch, e nel bistrattato Jackie Brown (USA, 1997, 148’), in cui avviene il passaggio definitivo all’epica dei piccoli uomini. Il Passaggio però all’epica nuova, e l’abbandono degli schemi che fino a poco prima il postmoderno aveva ripreso quasi pedestremente dal moderno, avverrà solo nella sua ultima opera. In Kill Bill infatti le caratteristiche del minimalismo (la mancanza di un télos nelle azioni mosse dal nichilismo e il richiamo a radici appartenenti alla cultura bassa) si uniscono a quelle dell’epica (altisonanza delle azioni e dei sentimenti provocati e forte presenza del fato che guida le azioni dell’eroe) creando una miscellanea perfetta.

L’epica e il destino
L’epica di Tarantino, dopo Kill Bill, non è più l’epica del cinema di Leone o Kurosawa. E’ svuotata anzi da quella stessa essenza epica che aveva caratterizzato tutta la modernità fino a noi: la finalità del destino. Il destino di Black Mamba è fine a se stesso, la vendetta della sposa non ha un télos. Questo fa sì che Kill Bill sia un esempio di quella che potremmo chiamare anti-epica, caratterizzata da un’anti-morale e, soprattutto, da un’anti-violenza (poiché la violenza è talmente esagerata da diventare surreale): la realizzazione dell’epica postmoderna. Fin dall’antichità il destino è sempre stato il protagonista dell’epica e questo si è rivolto sempre verso un fine. Mentre nell’epica greco-romana l’eroe compiva il suo destino personale per permettere alla storia di seguire il piano filato dalle Moire, nell’epica medievale e barocca lo compie per maggior gloria di Dio e del cristianesimo. Sarà con l’avvento della borghesia (passata attraverso il protestantesimo e le rivoluzioni) e della sua arma di propaganda più potente, il romanzo, che il destino dell’eroe, o meglio dell’anti-eroe, avrà un fine individuale (pur sempre alto) e non più cosmico-storico. Questa visione borghese dell’epica si afferma globalmente in seguito alla seconda guerra mondiale e arriva fino a Kill Bill, momento in cui Tarantino riesce a farle avere la sua vera rivoluzione postmoderna. L’evoluzione “Tarantiniana” è dovuta, a mio parere, all’effetto di spettacolarizzazione ed è ottenuta attraverso l’inversione dei canoni: l’anti-eroina, donna e mamma, privata di ogni femminilità, tranne di quella più ferina e bestiale (Uma Turman è una strega), l’esagerazione (già presente in Leone) che si autogiustifica mediante le continue citazioni dei B-movies, dei fumetti e dei cartoni animati, richiamati come auctoritates colte della nostra civiltà (per questo vi invito a leggere l’approfondimento di Fabio Falzone) e, soprattutto, l’assenza di un télos verso cui si indirizza il destino.

La morale nell’epica
Prima ho parlato di anti-morale in Kill Bill. Vi è però da sottolineare che l’epica, storicamente, non è sorretta dalla morale. Achille era un iracondo un po’ viziato, Ulisse un bugiardo (cosa più accettata nella cultura greca rispetto alla nostra, che proviene dalla più austera cultura latina, ma comunque considerata sacrilegio). La figura più epica della Bibbia è quella di Re Davide che fece uccidere il suo migliore amico per sedurne la moglie. Lancillotto cornificava il suo benefattore. Se poi passiamo all’epica romanzesca del moderno vediamo come essa raggiunga il suo apice con l’introduzione della figura dell’anti-eroe (che è tutto dire) cosa che, come già detto, ha caratterizzato anche il nostro periodo. Nell’epica la morale è sostituita dal télos, gli eroi si possono permettere qualsiasi bruttura per compiere qualcosa di più grande. Gli anti-eroi della modernità sono comunque giustificati dalla situazione e la loro azione, porta sempre alla realizzazione di un fine “eroico”. La figura dell’eroe epico, che deve trascendere la morale per un fine alto, che va “al di la del bene e del male”, ha influenzato profondamente anche Nietzsche nella fondazione della teoria del superuomo. L’eroe quindi, fino a Kill Bill è giustificato dal télos. Beatrix, invece, è totalmente ingiustificabile. Segue il suo destino senza farsi domande. Il film non si pone domande. L’uccisione di Bill la fa soffrire, ma deve essere così. La prima persona che uccide (Copper Head, seguendo il montaggio impostoci dal regista) è una donna che ha cambiato vita e non merita più di morire, ma il fato deve seguire il suo corso. L’esagerazione va oltre il Nichilismo. Nel postmoderno vi è il continuo tentativo di svuotare le figure del moderno dalla loro essenzialità. Tarantino va al di là delle proposte dei grandissimi registi che lo hanno preceduto: la figura del Biondo ne Il buono, il brutto e il cattivo (Sergio Leone, Italia, 1966, 168’), per esempio, è quella di un uomo che si muove per un fine personale, mosso da una situazione di povertà, che segue un destino eroico, capace anche di commuoversi di fronte alla guerra. Un uomo freddo e cinico, ma combattuto, con un destino finalizzato a qualcosa. L’epica postmoderna precedente si nutriva di elementi del minimalismo, ma mai era riuscita a sfruttare un’applicazione così perfetta del nichilismo al fato, della B-culture all’altisonanza del linguaggio, creando un non-messaggio perfetto.

Kill Bill è una pietra miliare
Il non-messaggio di Kill Bill si presta a infiniti livelli di lettura, cosa a cui puntano tutte le opere del nostro periodo culturale. Possiamo ad esempio leggere nell’eliminazione di Bill da parte di Black Mamba, l’eliminazione del moderno (Bill infatti è un perfetto anti-eroe) da parte di una nuova forza culturale. Oppure possiamo notare nel film la presenza di un enorme numero di linguaggi semantici che imitano la dissonanza armonica del mondo [img4]contemporaneo. Oppure possiamo ancora vedere Kill Bill come una storia della B-culture degli ultimi cinquanta anni. Queste infinite letture dell’opera sono possibili perché ci si perde nella ridondanza del linguaggio, nel perfetto manierismo e nella snervante ricerca di senso in un non-messaggio. Seguendo i dettami del postmoderno il regista di Pulp Fiction riprende i canoni svuotati dalla loro non-essenzialità sovrastrutturale, non-essenzialità che prima rappresentava la linfa vitale dei racconti epici. Svuota questi canoni, li sovrappone e li mischia dandogli nuova vita. Raggiunge l’apice del postmoderno, decretando la sua decadenza. Qualcuno tra dieci anni riuscirà a imitare l’opera di Tarantino e lì il postmoderno non avrà più senso e dovrà essere sostituito da una nuova corrente.
Siamo di fronte ad un opera molto più complessa di quanto appare, che non si può concludere in due frasi. Non penso di esagerare dicendo che Kill Bill è una pietra miliare dell’epica, e dell’evoluzione della nostra cultura.

Una definizione di Postmoderno: tendenza che tende ad abbattere le certezze dello scientismo, che cerca di eliminare gli schemi intellettuali del passato sovrapponendoli e mischiandoli. Che vede nella tecnologia, figlia del pensiero scientifico degli ultimi due secoli, la causa principale della fine del pensiero scientifico stesso. Ma non solo; con la fine dello scientismo finiscono anche le grandi ideologie: il marxismo, come il nazionalismo, come il liberismo. Queste non scompaiono del tutto, ma vengono reinterpretate, frammentate e mischiate tra di loro, smettono di essere verità assolute per divenire chiavi interpretative della vita, come già era successo alle grandi ideologie religiose.

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