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Gesù nella storia del cinema


La passione di Gesù è stata uno dei primi soggetti cinematografici che implicassero uno sviluppo narrativo. Alla rappresentazione di una storia e non semplicemente di “quadri” statici bisognava associare un tipo di linguaggio che permettesse di narrare e non semplicemente di mostrare.
Nel 1887 già i fratelli Lumière avevano filmato una ricostruzione del Mistero della Passione, ma le più spettacolari versioni cinematografiche della passsione di quei primi anni del cinema saranno due film prodotti dalla Pathé: La Passion di Nonguet e Zecca (1902-1905) e Vie et Passion de Nôtre-Seigneur Jésus-Christ di Maurice Maître (1913) entrambi colorizzati a mano (grazie al processo Pathécolor) e quindi di grande suggestione per l’epoca. Questi film possono ancora essere considerati, però, una serie di tableaux vivants, in cui è estremamente evidente l’ispirazione a dipinti di pittori di temi religiosi. La storia che forse ha permesso maggiormente uno sviluppo del linguaggio cinematografico è quella di Ben Hur (portata per la prima volta sullo schermo nel 1907 da Olcott): la complessità della trama e la spettacolarità di alcune scene obbligano alla dinamicità e ad un uso, per i tempi ardito, del montaggio. Non a caso è uno dei soggetti epico-religiosi più riusciti al cinema: citiamo, fra tutte, la versione del 1959 di William Wyler con Charlton Heston, che vinse ben undici oscar.

Tra la fine degli anni 50 e l’inizio dei 60 Hollywood vede l’esplosione del film storico kolossal, grazie al preciso volere del produttore Samuel Bronston. Il primo film da lui finanziato fu Il re dei re (The king of kings, 1961), diretto da Nicholas Ray (regista, ricordiamolo, di Gioventù bruciata (Rebel without a cause, 1955) e di Johnny Guitar (id., 1954). Di certo una delle più atipiche, per l’epoca, rappresentazioni hollywoodiane della vita di Gesù, in cui prevale il tema politico (l’occupazione romana): la figura del Cristo è spogliata di parte della sua sacralità, per rivestire il ruolo del giovane in lotta con la società e con se stesso. Il film suscitò svariate polemiche (il Time lo sottotitolò “I was a teenager Jesus”) e fu rimontato dalla casa di produzione, senza il totale consenso del regista.
In una prospettiva opposta, sul piano tematico, con una concentrazione fortemente religiosa sulla figura di Gesù, si colloca un altro kolossal di quegli anni: La più grande storia mai raccontata (The greatest story ever told, 1965) diretto da George Stevens, regista più politically-correct, autore, tra l’altro, dei mélo Un posto al sole (A place in the sun, 1951) e de Il gigante (Giant, 1956). Si tratta di un kolossal molto tradizionale, girato nello Utah (nei luoghi del western, tanto per intenderci) e pervaso da un’atmosfera funerea e a tratti bigotta.

Paradossalmente uno dei pochi – o forse addirittura l’unico – film su Gesù ad essere stato girato proprio in Israele è stato uno dei più atipici e contestati: stiamo parlando di Jesus Christ Superstar (id., 1973), per la regia di Norman Jewison. Il film fu tratto dall’omonimo musical presentato a Broadway per la prima volta nel 1969, scritto da Llolyd Webber (musiche) e Tim Rice (testi), e racconta la Settimana Santa rappresentata da un gruppo di giovani hippies nel deserto. I tre personaggi su cui ruota la vicenda sono Gesù (Ted Neeley, ma inizialmente doveva essere interpretato da Ian Gillen, cantante dei Deep Purple), Giuda (Carl Anderson) e Maria Maddalena. Il film suscitò polemiche da parte di alcuni gruppi religiosi perché propone due tesi non ortodosse: l’esistenza di una relazione amorosa fra Maria Maddalena e Gesù e la figura di Giuda come burattino nelle mani di Dio, che si serve del tradimento di Giuda per portare a termine il suo disegno di gloria.
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Tra i registi che, più recentemente, si sono interessati alla figura di Gesù, in modo più originale, segnaliamo Denys Arcand, autore Canadese che nel 1989 ha diretto Jesus de Montréal (gran premio della giuria a Cannes). Nel film cinque giovani allestiscono uno spettacolo sulla vita di Gesù; inizialmente incoraggiati dalla chiesa e dai suoi rappresentanti, vengono poi osteggiati dagli stessi, che vedono il pericolo nella trasfigurazione ardita e moderna che i cinque rappresentano del Vangelo. Le vite dei ragazzi e gli eventi che accadono attorno ad essi, assomigliano sempre più a quelli dei personaggi dei Vangeli che interpretano, tanto che il protagonista, che impersona Gesù, morirà mentre porta la croce. E’ uno sguardo severo ed impietoso, quello del regista, sulla civiltà occidentale odierna e le sue contraddizioni.

Naturalmente la figura di Cristo non ha interessato solamente Hollywood, anche il cinema italiano si è soffermato più volte sulla vita di Gesù. Fra i titoli più interessanti segnaliamo Il messia (1975) di Roberto Rossellini, film che si inserisce nell’ultima produzione del regista, e Il Vangelo secondo Matteo (1964) di Pier Paolo Pasolini, a cui abbiamo dedicato uno spazio specifico di confronto con il film di Gibson, vista la recente riuscita nelle sale in seguito al restauro della pellicola.

Bibliografia

• Il Cinema, AA. VV., Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1985
• Storia del Cinema, Romàn Gubern, Napoli, Alberto Marotta Editore, 1972
• Cinema&Film, Tommaso Chiaretti e Luciano Lucignsni (a cura di), Roma, Armando Curcio Editore, 1988

• Vai all’intervista a Yasha Reibman, portavoce della comunità ebraica di Milano.

• Vai allo speciale confronto fra Pasolini e Gibson

• Vai alla recensione di Il vangelo secondo Matteo.

• Vai alla recensione di The passion.

• Vai alla recensione di L’ultima tentazione di Cristo.

• Vai allo speciale su Pasolini e il Vangelo di Matteo.

• Vai all’ intervista a Don Aleardo .

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