hideout

cultura dell'immagine e della parola

Un anello di paura

Un anello di paura

E’ un film sorprendente l’ultimo di Gore Verbinski. Il regista …, conosciuto in Italia per il tremendo The Mexican, trova un’inaspettata linfa vitale passando da un film che faceva paura per l’inconcludenza della messa in scena a un horror che fa paura davvero, tenendo lo spettatore incollato alla poltrona per due ore di tensione. Remake di Ringu, che in Giappone cinque anni fa aveva sbancato il botteghino, The Ring ha fatto lo stesso quest’anno negli Stati Uniti. E in effetti il film inizia come il tipico horror americano, con due adolescenti che si raccontano storie paurose nella loro camera, ma ben presto assume toni più inquietanti. Se nel precedente film del regista il punto debole era la sceneggiatura, ora invece questa funziona più che bene, procedendo hitchcockianamente con una graduale ricerca della verità che passo per passo verrà svelata. Il tutto sul filo di una tensione che gioca su continui alti e bassi e in cui l’effetto gore (Vin Baker ne è garanzia di qualità) è sempre funzionale e mai esagerato. E anche la regia vera e propria esce a pieni voti, con inquadrature spesso non banali e intelligenti citazioni shininghiane. Ad accomunare questo film a quello di Kubrick è la presenza dei bambini, figure sempre inquietanti all’interno di un horror. E il viso di David Dorfman che fissa la tv, insieme agli occhi di Daveight Chase che esce dal pozzo sono immagini che rimangono impresse ben oltre l’uscita dal cinema. Il maggior punto debole sta forse nel finale, inevitabilmente aperto a un sequel (che in Giappone è già stato girato) e che forse semplifica troppo la trama, ma, nel complesso, non compromette un prodotto decisamente sopra la media dell’horror americano degli ultimi anni.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»