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Mentimi se ci riesci

Mentimi se ci riesci

Mentimi se ci riesci
di Alessandro Ragnoni ********

Quei favolosi anni 60

Finalmente, dopo gli scenari di A.I. Intelligenza Artificiale (2001) e Minority Report (2002) segnati da una visione del futuro piuttosto cupa e sinistra, Spielberg riemergere alla luce dei solari anni sessanta, un passato prossimo capace di ridipingere completamente l’umore della pellicola e di cullare lo spettatore sussurrandogli all’orecchio «come fly with me». La mano di Spielberg è ferma e capace nel plasmare un soggetto che vuole essere “favola vera”, non lasciando nulla al caso e curando in maniera a dir poco precisa le ambientazioni, i costumi e le colonne sonore. Un periodo, quello degli anni sessanta, già più che affrontato e descritto in tutte la sue sfaccettature (dal poliziesco all’ironico fino al caricaturale) da qui la difficoltà di mettere insieme qualcosa che non risulti stereotipato. Nella pratica non si ha mai l’impressione che il regista sia andato in soffitta e abbia riesumato vecchi dischi e qualche camicia impolverata, tutto si gusta come se nascesse in quel momento e finisse nello spazio del metraggio tornando a essere passato. Qualità spiccata di Spielberg è di prendere per mano lo spettatore palesandogli i dejà vu che diventano in alcuni casi ricordi cinematografici dello stesso protagonista in un circuito che vede lo spettatore privato e successivamente rimborsato della sua stessa intuizione – ne è un esempio l’ambientazione in cui agente e ricercato hanno il primo faccia a faccia, che ricorda nei suoni e nei colori il ben più lussuoso residence che ospita 007 in Agente 007: missione Goldfinger (Goldfinger, Guy Hamilton, 1964), lo stesso 007 comparirà qualche scena più tardi -.

Guardie e ladri

Il meccanismo sopra citato alimenta il ritmo della storia mentre il collante, almeno nelle prime battute, è la figura dell’agente Carl Hanratty (Tom Hanks) unico filo conduttore tra una vicenda e la successiva. Siamo nella fase preparatoria del film, lenta e ricca di nozioni proprie della storia vera (luoghi, fatti, persone). Per la svolta bisogna aspettare l’incontro tra cacciatore e preda. Nell’intreccio tra due “vite a metà” che si completano nel rapporto “guardia-ladro”, la realtà supera decisamente la fantasia e le offre una spalla. Sì, perché, ora che l’attenzione è centrata sul duello tra i protagonisti, il contesto viene ad essere svincolato da obblighi di verosimiglianza così che un aeroporto, un bicchiere di Campagne, un pezzo swing o un’abat-jour diventano strumenti, talvolta anche ricercati, con cui imbandire la storia. Il dinamismo raggiunge ora il suo massimo e con esso, di pari passo, l’intimità tra inseguitore e inseguito che a tratti sembrano fondersi in un’unica persona che cerca se stessa per poi esplodere in uno scontro di opposti. Se tutto va come deve andare lo spettatore è completamente avvinto dal duetto tra la delicata genialità e la mal celata goffaggine che Di Caprio e Hanks imprimono rispettivamente a truffatore e agente FBI. Nessuno ricorderà dunque la frase che Frank Abagnale Sr. (Christopher Walkwen) rivolge al figlio (Leonardo Di Caprio) all’inizio del film, a monito di quello che sarà il finale: «Ti prenderanno. In un modo o nell’altro, è un fatto matematico. È come a Las Vegas. Vince sempre il banco».


Uno Spielberg insolito per un film con poche sorprese

di Francesco Servadio *****

Basato su una storia realmente accaduta. Frank Abagnale yr. sa bene come guadagnarsi da vivere: truffando chiunque e con qualunque mezzo. Motivo apparente? Risollevare le sorti della famiglia. La sua è una vita di successo, ricca di truffe e imbrogli architettati alla perfezione. Un vero genio, di gran lunga più bugiardo di Pinocchio, pronto a tutto pur di arricchirsi facilmente. Da studente riesce per una settimana a spacciarsi per il supplente del proprio insegnante, sostituendosi alla supplente autentica; dopo la sofferenza vissuta a causa del divorzio dei genitori “diventa” copilota, poi persino medico e avvocato. A dargli la caccia è un indomito agente dell’Fbi, Carl Hanratty, che spera così nella promozione.

Film di poco impegno per il poliedrico Spielberg, che sembra preoccuparsi più del successo al botteghino che a presentare un prodotto di qualità. In parte riuscito, con due attori in stato di grazia e un fiero gruppetto di comprimari, tra cui un Christopher Walken che vorrebbe rubare la scena agli altri due. Uscito quasi in concomitanza con il “suo” Gangs of New York, l’onnipresente Di Caprio ha raggiunto lo zenit della popolarità, confermandosi uno dei più duttili giovani interpreti del momento. Ma il sornione Tom Hanks risulta perfettamente a suo agio nel ruolo di Hanratty, sfegatato poliziotto con più di un problema alle spalle. Nell’eterna lotta tra gatto (Hanks/Hanratty) e topo (Di Caprio/Abagnale); questa volta lo spettatore tende a simpatizzare di più per il cacciatore. Forse perché rifinito meglio, il personaggio di Tom Hanks infonde più tenerezza e compassione: divorziato e con una bambina piccola che vede saltuariamente, il tenace poliziotto si trova costretto a lavare la propria biancheria in una lavanderia automatica, mentre il suo rivale fa la bella vita, coccolato per via del denaro facile e dell’accesso all’alta società.

Resta un film incompiuto: ironico, divertente (anche se le risate non si sprecano); Prova a prendermi è la classica commedia giocata sugli equivoci a cui manca un po’ di verve in più. Peccato! Per Spielberg e gli interpreti resta un piacevole fuori programma, per lo spettatore una delusione che passa in fretta. Il motivetto della colonna sonora sembra fare il verso a quello della Pantera Rosa. Finale a lieto fine (non poteva essere altrimenti); ma un po’ amaro (in assenza dei genitori, il giovane Abagnale viene “adottato” dal poliziotto). Simpatici titoli di testa.

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