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Ti batterò, Oliver Hutton?

Ti batterò, Oliver Hutton?

Sotto molti punti di vista Sognando Beckham pare confezionato su misura di chi, per anni, ha fatto merenda con pane e Holly e Benji: la vittoria del campionato è assicurata, le due protagoniste, Jess e Jules, sono le migliori giocatrici in campo (e ovviamente sono attaccanti, di terzini e liberi mica se ne parla); la palla compie traiettorie mirabolanti per scivolare con grazia fra le mani del portiere e insaccarsi nella rete con l’immancabile suono fciiuuuù.
Chi non ha avuto il privilegio di queste gustose merende non è comunque trascurato: il film introduce infatti un paio di varianti laccate di originalità.
Variante n° 1: il calcio femminile. Anche le ragazze giocano a calcio. A questa scoperta se ne aggiunge una seconda: una ragazza che gioca a calcio è proprio una ragazza, non è meno femminile o più mascolina delle altre. Non è neanche lesbica. Jess e le sue compagne hanno le mestruazioni, si infighettano per andare in discoteca, -udite udite- si fregano perfino il ragazzo. Queste constatazioni hanno dello straordinario per le mamme delle nostre beneamate. La mamma di Jess, indiana, non riesce a concepire un destino per la donna diverso dal ruolo di moglie e mamma; la mamma di Jules, invece, è ossessionata dal modello della donna avvenente e pluricorteggiata, tanto da consigliare alla figlia l’acquisto di un reggiseno imbottito da cuscinetto gonfiabile (il modello comprende anche una pompetta, beninteso). Lei ovviamente dà il buon esempio con generose scollature e tette ben rialzate. I modelli di donna propinati a Jess non sono più invitanti: o la brava massaia con tutti gli optional compresi: bucato, stiratura, cucina, pulizia della casa; oppure la ragazza civetta il cui dilemma esistenziale maggiore è quello di non farsi copiare il colore dell’abito. Davanti a questi concentrati di bigottismo e frivolezza l’unica femminilità auspicabile sembra proprio quella portata avanti strenuamente dalla Jess’ New Team: ovvero la normalità. La tesi proposta gronda di tanto banale buon senso che è impossibile non abbracciarla (così come non si può non tifare per Oliver Hutton).
Variante n° 2: l’interazione fra cultura indiana e cultura inglese. Sari contro divisa da calcio. Matrimonio contro finale del campionato. I matches fra questi due poli fanno capolino nel corso del film. Jess a volte si farà scoraggiare, certo non lo spettatore, che intuisce fin dai primi minuti che tutto andrà per il verso giusto: basta capire che non è necessario un aut…aut fra i due poli, ma si può optare per un et…et. Per arrivare a questa scelta, però, i genitori di Jess dovranno riconoscere i pregiudizi che la loro cultura porta con sé: xenofobia, rigidità di pensiero, maschilismo. La retta via è ancora una volta talmente ovvia da strappare il consenso unanime dello spettatore, senza lasciare il minimo spiraglio al beneficio del dubbio, che forse il confronto con una cultura diversa dovrebbe insinuare. Così come il tifoso di Holly non si fa certo impaurire dall’immancabile frase di Mark Lenders: “Ti batterò, Oliver Hutton”.

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