hideout

cultura dell'immagine e della parola

La precarietà dei Soggetti

La precarietà dei Soggetti

Tante bamboline bianche escono da quattro casette di plastica, scorrendo inerti come i pupazzi meccanici degli orologi a cucù. I nomi degli interpreti che compaiono per ogni bambolina ci indicano che ognuna di esse sta per un personaggio del film. I titoli di apertura della Sicurezza degli oggetti sono in realtà una didascalia: ci preannunciano storie in cui si realizza il cortocircuito Soggetto/Oggetto. I primi si trasformano nei secondi, le persone diventano bambole, gingilli in un carillon corale, e viceversa; oppure, più semplicemente, le priorità fra Soggetti e Oggetti si invertono. Priorità che non dovrebbero essere confuse, come spiega la seconda, importante didascalia, racchiusa nelle parole del giardiniere Randy: l’assenza delle persone, e non delle cose, dovrebbe provocarci un senso di mancanza.
Perno della narrazione è Paul, un ragazzo cui si fatica ad attribuire piena identità di Soggetto, a causa del coma in cui si trova. Lo stato di inerzia che lo caratterizza lo avvicina alle bamboline bianche dei titoli di testa: un Soggetto dalla sensibilità (intesa come capacità di sentire) dubbia, dalla volontà nulla, che come un giocattolo deve essere mosso da qualcuno per compiere un’azione. La Soggettività di Paul si perde allora nell’oggetto che lo tiene in vita, è un processo di osmosi che si compie fra il corpo e la macchina, che fa passare la scintilla vitale dall’organico all’inorganico.
Se Paul è un Soggetto oggettivato, Tani, la bambola del figlio dei Christianson, è l’esatto contrario. In bilico fra l’oggetto transizionale e il feticcio, Tani non è soltanto una bambola, è la fidanzata tiranna e dispotica del bambino. La sua condizione di Soggetto le permette di manipolare le azioni del bimbo, ribaltando la gerarchia giocatolo-bambino. L’ordine delle priorità verrà ristabilito, così come nelle altre storie che si intrecciano nel film: un walkie-talkie non può rimpiazzare l’assenza del padre, né un figlio può essere conteso dai genitori separati come i mobili della casa. Le parole pronunciate da Randy si rivelano una morale a tutti gli effetti.
Non si può non riconoscere la riuscita dell’intreccio narrativo del film (a parte il finale sdolcy decisamente sottotono); complesso eppure condotto magistralmente. Troppo perfetto, si potrebbe aggiungere, tanto da diventare, in alcuni momenti, l’unico fulcro di attenzione dello spettatore, sospinto nella visione solo dalla curiosità di sapere “che cosa succederà”. Il trucco è evidente soprattutto nel flash-back finale, quando Rose Troche ci rivela un paio di segretucci fondamentali per comprendere il resto della narrazione. La regista tiene in serbo per il gran finale non il come del dramma che mette in scena, ma il perché, subordinando in un certo senso la dimensione esperienziale del cinema a quella cognitiva e narrativa. Ma forse, più prosaicamente, temeva soltanto che lo spettatore si alzasse dalla sedia troppo presto.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»