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Francia 1942, i fabbricanti di sogni tra impazienza e ribellione

Francia 1942, i fabbricanti di sogni tra impazienza e ribellione

La storia del film (tratta da fatti realmente accaduti) si svolge dal marzo 1942, nei mesi in cui i tedeschi già presenti nella parte nord della Francia invasero anche la zona meridionale del paese, fino al novembre 1943.
Fin dalla scena iniziale è subito evidente che non si assisterà a un film “di genere” ma che il regista di Lione mescolerà a suo piacimento i toni alternando commedia e dramma, film di guerra e farsa.
In un albergo di Parigi uno sceneggiatore, Jean Aurenche (Denis Podalydes); è in attesa di una attricetta con cui avrà un incontro galante. Poi il tutto è bruscamente interrotto da un violento bombardamento che ci introduce nell’inferno delle strade di Parigi tra palazzi incendiati, feriti e grida di aiuto e disperazione.
Tra quelle strade incontriamo l’altro protagonista del film, l’aiuto regista Jean Devaivre che si dirige verso l’ospedale per salvare dalle bombe inglesi il figlio appena nato.
Lungo l’intero film i due protagonisti vivranno storie parallele, le loro vicende si incontreranno in rare occasioni e scambieranno tra loro solo poche battute.
I destini di tutti i personaggi ruotano (anche metaforicamente) intorno alla casa di produzione cinematografica Continental di proprietà della tedesca UFA e diretta da Albert Greven scelto personalmente da Goebbels all’epoca ministro della propaganda nazista.
E’ proprio alla Continental che Devaivre ha l’occasione di iniziare a fare cinema diventando l’assistente alla regia di Maurice Tourneur nel film “La mano incantata”.
Quale ex professionista di ciclismo, sfoga la propria irrequietezza con lunghe corse in bicicletta ed è la curiosità più che l’eroismo che lo induce a sottrarre documenti dall’ufficio dei nazisti della SA, i controllori delle SS, e a fotografare documenti segreti da una cartella dimenticata da un funzionario del Reich distratto dalle bellezze francesi.

Evidente è l’accusa fatta al cinema di regime: limitarsi a realizzare film di puro intrattenimento. “Il cinema è il sogno e il sogno non ha mappamondo” dice a un certo punto un produttore che confonde i continenti. Tanto l’importante è fare un film esotico con qualche scena d’amore.
Tavernier amplia l’orizzonte della riflessione e si interroga sui rapporti tra arte e potere, come hanno già fatto tra gli altri Truffaut con “L’ultimo metrò” nel 1980 e con Istvan Szabo con “Mephisto” nel 1981.
La pellicola sottolinea con troppa insistenza la parziale libertà (“Laissez-passer”) concessa dalla Continental ai cineasti francesi, confondendo forse un timido spirito libertario degli invasori con la passione per il cinema di alcuni funzionari della casa di produzione.
La regia è molto attenta alla messa in scena (il bordello “cinese”, gli interni delle case, …); alla cura dei dettagli, alla colonna sonora (premiata a Berlino 2002) e alla luce che ci regala dei momenti diversi dallo stile prevalente del film con un esplicito omaggio alle atmosfere cupe e romantiche del “realismo poetico” di Carnè e Gabin, come l’immagine di Jean Devaivre che emerge con una pistola in mano nella notte nebbiosa dai binari di una stazione.
Il piacere di Tavernier di creare cinema è dunque sempre palpabile nel corso dell’intero film e trova alcuni momenti di notevole bellezza visiva quando, ad esempio, la mdp accompagna con lunghe e ispirate carrellate Devaivre nei suoi viaggi in bicicletta nella campagna francese. Buon viaggio!

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