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Monstrum (portento, prodigio, miracolo)

Monstrum (portento, prodigio, miracolo)

“IO NON SONO UN ANIMALE! SONO UN UOMO…”
E’ questo il lamento di John Merrick, ventitreenne, suddito della corona inglese.
David Lynch racconta la storia, tragicamente reale, di questo giovane nato affetto da una malattia molto rara, la neurofibromatosi, che lo ha reso mostruosamente deforme. Tanto da averlo condannato a vivere dentro una gabbia, esibito la pubblico raccapriccio per due soldi.
John ha passato tante sofferenze e crudeltà da essere ridotto a uno stadio pressoché animale: persino la sua voce si è ritirata all’interno del corpo; l’unico suono che John emette è un rantolo da bestia malata. Automa inerte, spaventoso freak, egli provoca negli spettatori che pagano per vederlo un misto di paura, disgusto, morbosa curiosità. Pietà, mai. Per loro John è né più né meno un animale: come se al posto di una persona stessero guardando un sorcio o un rettile particolarmente brutto.
Questa è l’esistenza di John Merrick: sferzato da sguardi estranei durante il giorno, picchiato selvaggiamente dal suo alcolizzato carceriere, di notte.
E questo sembrerebbe il suo destino.
Sceso all’ultimo gradino della dignità umana, quello della perdita dell’umanità stessa, John, se pure trovasse la forza per formulare un pensiero, non potrebbe che invocare la morte, istantanea.
Finchè, un giorno miracoloso, inaspettato arriva un medico, i cui occhi versano lacrime di fronte alla figura di John; e impietosito decide di salvarlo.
“The Elephant Man” è la storia di un uomo e della sua dolorosa, ardua riconquista di quella dignità di cui nessuno avrebbe dovuto mai privarlo.
Il corpo. Gli uomini, è risaputo, giudicano all’apparenza; e sono soliti associare bruttezza a malvagità. Ma cosa ci rende diversi dalle bestie? L’aspetto, le fattezze esteriori o la capacità di formulare pensieri ed esprimerli, e in tal maniera comunicare? O forse niente di tutto questo: siamo uomini sempre, anche disintegrati annientati dissolti nell’acqua, perché uomini nasciamo.
John inizialmente non parla: e invece si rivela una persona sensibile e intelligente, educata. La bellissima defunta madre gli ha insegnato a leggere e capire la Bibbia, di cui egli manda a memoria interi passi. La voce rivela ciò che John è realmente: senza di essa anche chi è disposto ad aiutarlo può far poco. La sua voce leggermente strascicata, impedita dalla deformazione della bocca, una volta entrata nell’aria e resasi udibile agli altri lo riveste di un’aura che lo trasfigura. La bruttezza non esiste più: abbiamo di fronte un essere più umano della maggior parte delle persone.
John userà la voce per salvarsi, quando ricadrà nell’incubo: il suo “io sono un uomo” è un urlo di rivolta verso gli altri uomini che, loro sì bestie!, vedendo un essere diverso da loro si arrogano il diritto di pensare che esso non ha facoltà di provare sentimenti. L’unico lamento di John che udiamo nelle oltre due ore di pellicola è questo: la rivendicazione basilare, quasi scontata eppure fondamentale di appartenenza alla società degli uomini.

-Riuscite a pensare a cosa deve avere passato?
-Si, credo di sì.
-No, non potete. Non lo possiamo nemmeno immaginare.

A parlare sono il direttore dell’ospedale in cui è alloggiato John e il medico che lo ha soccorso.
Nella Londra vittoriana nella quale Lynch ci ha immerso, buia e fumosa, asfittica e allucinante, è vissuto un uomo che ha strisciato nel freddo, nello sporco, oggetto di lazzi e violenze, di scherno e repulsione. Quest’uomo, “uno dei più sfortunati del Regno unito” secondo le parole della regina stessa, prima di congedarsi da noialtri normali, ci dona una lezione di altissima umanità e di amore: Io non posso lamentarmi, io sono un uomo molto fortunato, perché ho trovato dei veri amici.
Il bacio di una Giulietta, gli occhi di un amico, la testa appoggiata ad un guanciale, come tutti: l’uomo elefante è finalmente felice e può andare a trovare sua madre tra le stelle.

E’ questo un film di mostri: John Merrick lotta contro di loro, e vince, da essere umano.

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