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Suspense e femminismo

Suspense e femminismo

I fan di Stieg Larsson attendevano da tempo l’adattamento cinematografico del libro che ha venduto di più nella storia della Svezia subito dopo Pippi Calzelunghe. Lo zoccolo duro degli appassionati non ha reso vita facile al regista Niels Arden Oplev, colpevole di essere danese e specializzato in serie tv. Anche il casting si è rivelato piuttosto difficoltoso per via della mitizzazione dell’eroina della Millennium Trilogy, Lisbeth Salander: un personaggio fuori dagli schemi, arrogante e al tempo stesso vittima della brutalità maschile. Mentre Michael Nyqvist è un attore di fama consolidata, la scelta di Noomi Rapace ha sollevato parecchie polemiche perché non del tutto consona ai parametri fisici della protagonista (troppo alta, troppo vecchia). Nonostante i pregiudizi che hanno accompagnato le riprese, il film tratto dal primo romanzo della saga si è rivelato un enorme successo in patria. Il grande afflusso nelle sale ha spinto i produttori a destinare i due capitoli seguenti al grande schermo anziché alla televisione, come era previsto inizialmente. E come è stato in Scandinavia, la pellicola ha tutte le carte in regola per sfondare anche in Italia, perché in grado di tenere lo spettatore col fiato sospeso dall’inizio alla fine, sia egli a conoscenza della trama oppure no.

Superato lo shock del confronto con i personaggi in carne e ossa e tralasciato un inizio un po’sfuggente, la storia decolla. Le quasi settecento pagine di libro vengono condensate in due ore e mezzo di film tralasciando ciò che nella trasposizione visuale sarebbe risultato noioso, come la catalogazione certosina dei membri della famiglia Vanger o altri momenti fiacchi legati al lavoro di ricerca di Blomkvist. Sono state sacrificate anche quelle comparsate che avrebbero necessitato di maggiore contestualizzazione, come quella della figlia di Mikael Pernilla e di Anita Vanger. Al di là di questi interventi, il risultato è fedele al testo, di cui conserva in buona parte l’atteggiamento critico verso la società fallocratica e certe sfumature (l’analisi delle fotografie, la memoria di Lisbeth) che sullo schermo si dimostrano ancora più efficaci. Infatti la crudezza delle scene di violenza è conforme a quella del romanzo e colpisce come un pugno nello stomaco. Il contributo personale di Oplev si esplica invece nella tenerezza del rapporto tra la hacker e il reporter, dove quest’ultimo appare più sentimentale e meno spirito libero che in origine. L’insieme è comunque decisamente coinvolgente e il ritmo serrato nella narrazione non si traduce in una perdita di dettagli, poiché la trama viene totalmente dipanata lasciando il pubblico soddisfatto e con un quadro completo della vicenda. Gli interpreti si dimostrano all’altezza del compito a cominciare proprio da Noomi Rapace, che per calarsi nella parte ha preso lezioni di kickboxing, ha imparato a guidare la moto e si è ricoperta di piercing. Noomi ha ammesso di considerare la Salander una Nikita con un lato fragile, più che un’erede di Pippi Calzelunghe: una combattente, ma anche una donna insicura che non è in grado di dominare le proprie emozioni. Nyqvist da parte sua ci consegna un Kalle Blomkvist dai contorni più smorzati, ma mantiene una’ottima presenza scenica, mentre Peter Andersson è perfetto come perverso avvocato Bjurman.

La scrittura di Larsson ha tutte le caratteristiche per poter essere adattata al linguaggio del cinema: dialoghi incisivi e scene in rapida sequenza, uno stile asciutto e un punto di vista esterno ai personaggi. Non resta che attendere l’uscita dei prossimi episodi per vedere se l’universo larssoniano, corrotto ma non privo di speranza, avrà nuovamente una degna rappresentazione.

Curiosità
Michael Nyqvist era l’unico di tutti gli attori presentatisi per la parte di Blomkvist a non aver letto il romanzo.

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