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cultura dell'immagine e della parola

Il dolore come musa

Titolo: L’ombra delle torri
Titolo originale: In the shadow of no towers
Autore: Art Spiegelman
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: € 25
Pagine: 35
Anno: 2004

La necessità di esprimersi
Tutti sappiamo cosa sia accaduto l’undici settembre del 2001. Eventi come quello sono destinati a lasciare il segno nelle menti e nei ricordi di tutti coloro che le hanno vissute. Tutti. Senza eccezioni. Tra la moltitudine di persone che sono rimaste sconvolte da quell’apocalisse, alcune hanno sentito il bisogno e l’esigenza di esprimere il malessere che le permeava. Ognuna di queste figure ha cercato il modo a lei più congeniale per esternare il proprio tumulto interiore: personalità sensibili che attraverso i metodi più svariati hanno voluto comunicare un messaggio, chi a un pubblico molto vasto, chi ai suoi amici più cari, chi, magari, anche solo a se stesso.

Fumetti e dolore
Anche il mondo del fumetto, dal canto suo, non rimase muto e indifferente di fronte a tanto orrore, dando alla luce in poco tempo tutta una serie di produzioni dedicate alla memoria dei caduti: la Marvel realizzò una collana di albi benefici intitolata Heroes, con la partecipazione di tutte le più importanti firme di casa e non, come Quesada e Mc Farlane, e dedicò all’accaduto un episodio della serie regolare di Amazing Spider-Man affidato alle sue punte di diamante Straczynski e Romita jr; la Dc Comics diede alla luce con la collaborazione di numerose case editrici indipendenti (Chaos!, Dark Horse, Image, Oni Press e Top Shelf) due volumi intitolati 9-11, che racchiudono il lavoro di un centinaio di autori diversi, chiamati a formalizzare nella commistione di linguaggio iconico e verbale tipica del mondo a vignette il malessere nato in ognuno di noi dopo quell’immane tragedia.

Spiegelman e le Torri
Particolarmente significativo appare però il lavoro di un mito del settore come Art Spiegelman. Dopo quasi dieci anni di latitanza dal mondo dei fumetti, decise di tornare sui suoi passi spinto dal bisogno di esprimersi in seguito allo sgomento provocato in lui dall’attentato. Il risultato di questo lavoro sono dieci tavole di grande formato uscite per la prima volta sul settimanale tedesco Die Zeit. Le notevoli dimensioni del formato-giornale risultano perfette per rappresentare enormi grattacieli in fiamme, denudati nei loro scheletri architettonici e destinati inevitabilmente a crollare su se stessi tavola dopo tavola. L’accostamento delle singole vignette appare irregolare, quasi sclerotico; la narrazione risulta sincopata, altalenante, perfettamente in grado di ricreare sulla carta l’instabilità di quei momenti drammatici e delle incoerenti riflessioni dei giorni successivi. Un lavoro davvero toccante, grazie alla sua evidente sincerità. L’unicità di quest’opera, infatti, risiede nell’essere riuscita a separare le esperienze personali dell’autore da quelle universalmente condivise tramite i media: raccontando semplicemente i propri ricordi, il flusso incontrollato di paura e stupore e il caotico susseguirsi di pensieri che invase la sua mente scossa, Spiegelman ci offre una testimonianza diretta, semplice ed empaticamente condivisibile dell’accaduto. Al contrario di tante altre produzioni legate all’attentato dell’11 settembre, il lavoro dello sceneggiatore di Maus ci appare privo di artifici retorici, pomposità cerimoniose e luoghi comuni. Dopo l’olocausto degli ebrei sotto il regime nazista, Art riesce a creare un altro piccolo capolavoro figlio dell’attenta analisi del dolore, vera musa ispiratrice di questo autore. Un dolore che, oggi come allora, non viene spiegato, analizzato, indagato in maniera analitica. Semplicemente, viene raccontato. Per non dimenticare. Ai lettori spetterà poi il compito, se lo vorranno, di giudicare secondo coscienza.

Confusione. Il mondo sottosopra
L’impatto del nuovo lavoro di Art Spiegelman ha la stessa forza di un’esplosione. Oltre al resoconto oculare dei momenti più drammatici dell’11 settembre del 2001 e alle riflessioni che l’artista rende visibili con un insistente e terrorizzato senso critico, troviamo in queste grandi pagine molto del mondo fumettistico americano dell’ottocento: Bibì e Bibò, Arcibaldo e Petronilla, Capitan Cocoricò, Krazy Kat, Yellow Kid, Fortunello, Little Nemo, fino a citazioni dello stesso Maus, con le famose facce di topo e di gatto.
L’isteria e il terrore che Spiegelman racconta, diventano fusione dei diversi stili e volti del mondo del fumetto e, ancora di più, la mortale consapevolezza di una fine del mondo che si avvicina lentamente, manda a gambe all’aria sia il mondo delle vignette, sia quello politico e sociale dell’America contemporanea. Allora, come Bush e Bin Laden diventano le due facce opposte di una stessa tragedia mondiale, così diventa necessaria la confusione dei tempi cronologici, la moltiplicazione dei punti di vista, il vortice di risposte e domande che Spiegelman porta con la sua arte alla visibilità. È significativo che egli si metta in primo piano a raccontare questa storia: è testimone oculare, sopravvissuto e narratore e nella sua persona si combinano elementi di schizofrenia nati dalla paura e dalla conseguente consapevolezza della follia politica nel suo paese.

Rimane l’ombra, ma nessuna torre
Spiegelman trovò grande resistenza in America alla pubblicazione delle sue tavole. [img4]Un suo vecchio amico, Michael Naumann, da poco diventato direttore ed editore del settimanale tedesco Die Zeit, gli propose uno spazio sul giornale da dedicare a qualsiasi argomento lui volesse. Da li presero vita gli enormi grattacieli scheletrici e in fiamme. Più che una rappresentazione reale, assomigliano a un’idealizzazione della mente, che riesce a rendere anche la memoria di quelle immagini, un’esperienza estetica di alto livello.
Sicuramente il lavoro di Spiegelman è profondamente critico, sarcastico e ironico a tali profondità da riuscire a indurre nel lettore un sorriso di cui subito ci si vergogna. Ma più ancora è una testimonianza vera, più autentica di qualsiasi immagine filmica o televisiva: come se non esistessero filtri in queste pagine, come se il punto di vista, l’occhio che inquadra, si trasformasse sulle pagine lucide e coloratissime di Spiegelman in una moltitudine di occhi. Oltre la critica politica e oltre il terrore del crollo del mondo rimane un sano sgomento, da cui scaturiscono le mille domande che l’artista si pone, riflettendo l’incredulità e l’impossibilità di comprendere che affligge il nostro mondo.
Proprio per questo ora l’assenza del Word Trade Center riesce a rendere lampante la visione-memoria delle Torri: esplode con lenta costanza l’idea di essere da anni ormai In the shadow of no towers, che la pesantezza dell’accaduto continui a espandersi come un’ombra su tutto ciò che riguarda la politica, la società, l’ordine del mondo.

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