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Un horror sui generi(s)

Un horror sui generi(s)

Il piano estetico
In un film come Van Helsing, dove la valenza estetica e la bravura degli interpreti sono di gran lunga superiori alla struttura narrativa, l’esercizio della critica non può che dividersi in una valutazione separata delle tre categorie per trarne una summa finale. Da una parte, infatti, la pellicola di Stephen Sommers (che ha alle spalle i notevolissimi La Mummia e La Mummia – Il Ritorno) propone delle scene da antologia del cinema horror che meritano di essere rimarcate. A partire da quelle relative ai voli predatorii delle spose di Dracula. Dove le tre concubine del vampiro (una delle quali è la bravissima e super-affascinante Silvia Colloca che interpreta Verona, la Sposa Regina di Dracula), inguainate in aderentissimi corpetti, rifiniti successivamente dalla computer grafica, favoriscono un impatto visivo spesso affidato alle soggettive della cablecam e a una tecnica di post-produzione digitale che assieme raggiungono un altissimo livello qualitativo e spettacolare. Raffinatezze estetiche che vediamo replicate anche nelle trasformazioni dei lupi mannari, in quelle dello stesso Conte Dracula in una creatura alata e nella versione cyber-ottocentesca di un Frankenstein (interpretato da Shuler Hensley) davvero innovativo nell’aspetto. A ciò va aggiunto l’elemento scenografico curato da Allan Cameron, che specialmente per il villaggio in Transilvania, ricostruito a Kunratice, a poco distanza dalla splendida città di Praga (che ha ospitato buona parte delle riprese in esterni), non si è davvero risparmiato nell’allestimento di un vero e proprio villaggio medievale, con tanto di architetture gotiche, una chiesa con campanile, una piazza e persino due cimiteri che per ricchezza di particolari sono una gioia per gli occhi. Poi la costumista Gabriella Pescucci ci ha messo del suo, realizzando degli abiti da Oscar specialmente per il protagonista Van Helsing (Hugh Jackman, il Wolverine degli X-Men) e la co-protagonista Anna Valerious, proposta dalla bellissima Kate Beckinsale, attrice assai versatile che abbiamo molto apprezzato nell’intenso e drammatico Laurel Canyon di Lisa Cholodenko. Il che ci porta dritti dritti ad una valutazione del tessuto recitativo.

Il piano recitativo
In tale ambito, va subito detto che Richard Roxburgh, nella parte di Dracula, è l’attore che più di ogni altro ha dato gran spessore psicologico al proprio personaggio. Forse perché temendolo, come ha confessato in conferenza stampa, vi ha sprigionato tutto il background teatrale che in passato l’ha visto protagonista, tra gli altri, di diversi drammi shakespeariani. Ma Roxburgh ha fatto di più. Perché oltre all’avvertibile retroterra da palcoscenico, il sensibile interprete australiano ha miscelato nel personaggio affidatogli l’eleganza di Christopher Lee, la veemenza di Klaus Kinski e il dramma interiore espresso dell’inarrivabile Gary Oldman, attori che tutti noi ricordiamo in varie pellicole ispirate al vampiro per eccellenza. Sullo stesso piano di bravura, nel senso di una forte presenza scenica, troviamo il Frankenstein interpretato da Shuler Hensley. Altro attore, guarda caso, con una solida esperienza teatrale alle spalle. La sua caratterizzazione del Mostro di Frankenstein, dove egli ne mostra tutta l’ingenua umanità (come in effetti si ravvisa nel romanzo di Mary Shelley), può definirsi solo che perfetta. E qui, da tanta bravura, paradossalmente, cominciano i guai per il film di Sommers. Perché gli altri attori protagonisti, Hugh Jackman e Kate Beckinsale per tutti, seppur bravi, in un film che si propone come un horror-avventura-azione, recitano dedicandosi al secondo e terzo genere di quel trittico, ritrovandosi distonicamente faccia a faccia con Hensley e Roxburgh che invece si muovono sulle cadenze di un racconto a sfondo gotico. Tutto ciò crea un’evidente disomogeneità che naturalmente mette sotto accusa l’impianto narrativo.

Il piano narrativo
Un tessuto narrativo che a ben vedere scricchiola anche sul versante delle motivazioni che in uno stessa trama collegano Dracula, L’Uomo Lupo e Frankenstein al “cacciatore di taglie” (così viene presentato nel film) Van Helsing. Cosa della quale proprio Sommers si era invece preoccupato, cercando di risolvere questo impossibile rompicapo con un escamotage in cui «Dracula avesse una ragione di vita e/o di morte per aver bisogno del Mostro del Dr. Frankenstein», come ha dichiarato lo stesso regista, o prendendo a pretesto delle leggende dell’Est Europa per inquadrare i lincantropi come «guardiani dei vampiri durante il giorno». Connessioni troppo deboli e artificiose che nel film hanno il solo effetto di alterare la credibilità delle vicende, che quindi, inesorabilmente, finiscono per manifestarsi come mitologiche riunioni fatte combaciare a forza. Per cui, saltato il quadro di unione, capito che certe tessere del puzzle non verranno mai a comporsi, allo spettatore non rimane che autoconvincersi di godere dei magnifici effetti speciali e delle azioni mozzafiato per barattare tali emozioni visive con le carenti strutture narrative del film. Ma dare senso a un film, non dovrebbe essere compito del regista?

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