The passion: intervista a Yasha Reibman (pag. 2)
E l’accusa di antisemitismo, per te è davvero questo il problema di The passion?
Non è esplicitamente un film antisemita, ma il rischio che susciti antisemitismo c’è ed è enorme. È una sfida per la Chiesa cattolica. Come farà la Chiesa a tenere insieme il Concilio Vaticano II, Nostra Aetate, il pontificato di Giovanni Paolo II e la sua apertura al mondo ebraico con Mel Gibson?
Il nodo da sciogliere sta nella forza bruta, il pugno nello stomaco che sferra il suo messaggio. Messaggio che rischia di togliere la cenere e riscoprire la brace. E la brace è ancora calda purtroppo, in Italia come nel resto del mondo. Fino al 1965, prima del Concilio Vaticano II, in Italia, da parte della Chiesa Cattolica era ancora viva l’accusa di “deicidio” nei confronti degli ebrei e ogni settimana si praticava la preghiera “contra judeorum”. Questa è stata la base di una cultura che sopravvive tuttora sotto diverse forme.
Non credi quindi che la questione del “deicidio” sia stata superata definitivamente dal mondo cristiano?
Certo il Concilio Vaticano II ha dato una risposta forte a questo problema, tuttavia duemila anni di odio antiebraico non si cancellano in soli trent’anni: ciò che sta sotto, nascosto, non è scomparso del tutto, il processo avviato dalla Chiesa è lento per quanto essa possa impegnarsi. Il linguaggio preconciliare non è stato riproposto solo dal padre di Mel Gibson (che rinnega la Shoah) e dal figlio stesso, un esempio recente può essere la frase pronunciata dal vescovo di Palermo, quando disse: “la sinagoga di Satana”, la sinagoga è il luogo di preghiera dove s’incontrano gli ebrei.
Il film è stato spurgato da certe frasi incendiarie, bollate come antisemite. Non sono state tradotte nei sottotitoli ma sembra che alcuni paesi proporranno la versione originale. Dove ritieni possa essere più pericoloso?
Innanzitutto le frasi incrimanate non sono state tradotte, ma nulla esclude che lo saranno in futuro. In Egitto il film verrà proposto nella versione originale e sembra che ci sia tutta l’intenzione, visto il revival di pregiudizi e luoghi comuni antisemiti presenti sulla stampa locale (quasi in preparazione di The passion), di cogliere gli aspetti più pericolosi e negativi del film. La maggiorparte dei paesi arabi è retta da vere e proprie dittature. Sono paesi in cui è al potere la dittatura, in cui non esiste libertà d’informazione. Sono paesi che l’Europa finanzia e con cui commercia, e che per questo potrebbe e quindi dovrebbe pretendere in cambio che certe cose non vengano trasmesse. Un esempio. Oggi si possono vedere degli sceneggiati, falsi storici terribili, che riprendono i Protocolli dei Savi anziani di Sion inventati dalla polizia zarista, dove si spiega come gli ebrei siano diventati padroni del mondo. Oggi vengono mandati in onda nei paesi arabi, come se fosse Beautiful e spacciati come verità. Noi europei lasciamo che tutto ciò accada, senza pretendere negli accordi commerciali, delle clausole che eliminino dalla TV araba certi contenuti francamente antisemiti.
Il problema in definitiva è questo: Mel Gibson ovviamente è libero di fare i film che preferisce, certo però sarebbe stato corretto, mettere una frase, all’inizio o al termine del film, che spiegasse il contesto storico della Passione, così come ha studiato e sottolineato in questi anni l’Accademia Pontificia.
Per concludere parliamo della caratterizzazione dei personaggi.
Nel film è evidente lo scarto tra i buoni (bellissimi) e i cattivi , sinistri ceffi sanguinari. C’è poi l’iconografia in mutazione del convertito che da brutto rospo diventa bel principe. Fino all’estremo per cui i brutti diventano addirittura deformi. Gibson mi pare abbia utilizzato dei ragazzini handicappati. Il messaggio è orribile. Ci può essere una pericolosissima lettura erede di Sparta per cui l’handicap in quanto tale è visto come portatore di peccato, un segno della punizione divina. Questo è un altro segno della pericolosa sensibilità di Gibson.
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A cura di Fabio Falzone
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