Nel Presepe delle Meraviglie

Non so se conoscete la storia di quel cinese che sognava. Adesso non me la ricordo molto bene, ma a un certo punto succedeva che il cinese non capiva più se stesse sognando o no.
Enzo D’Alò quella storia, invece, la conosce molto bene. È una vecchia storia che ormai ci hanno raccontato in tanti (come Lewis Carroll, o Hayao Miyazaki); ma ogni volta esercita un fascino incantatore. Probabilmente al cinema, che è fatto della stessa materia dei sogni, l’incantesimo è più potente.
Come in tutte le storie che parlano di un viaggio in un mondo che è alieno dal nostro, la parte più incantatrice, quella che fa davvero sognare, è vedere come sia fatto il nuovo mondo da esplorare e conoscere. Sia Alice che Rocco ci mostrano che il Paese delle Meraviglie non può che vivere e nutrirsi del nostro mondo, dei personaggi e delle immagini che vi sono prodotti.
Niente sarà più naturale, allora, di un Presepe in cui le statuine, diventate persone in carne ed ossa, parlano napoletano (ad eccezione dei soldati romani, che parlano un latino non proprio ciceroniano); di un Vesuvio che si profila fra le montagne della Giudea; dei fuochi d’artificio che, all’avvicinarsi della nascita di Gesù Bambino, si alzano nel cielo.
In Opopomoz l’ambientazione non è soltanto uno scenario su cui far muovere i personaggi. In parte D’Alò scrive (anzi, disegna) una dichiarazione d’amore per la sua città e tutto ciò che l’ha resa famosa, anche quegli aspetti cosiddetti da cartolina: il Vesuvio, Totò (di cui vediamo il volto sui tappi delle bottiglie); la pasta e fagioli e la pummarola in coppa. Se i personaggi sono disegnati in maniera semplice, stilizzata, con un tratto meno gratificante della Gabbianella e il gatto, le panoramiche della città (così come degli altri ambienti, dalla Giudea-Napoli agli Inferi) sono un’esplosione di luci e colori molto raffinati.
D’Alò ci racconta che la realtà attorno a noi è così ricca e colorata da essere la materia dei nostri sogni più fantasiosi e delle fiabe più magiche. A questo punto la realtà non si confonde solamente con il sogno: la realtà è sogno. Forse al posto di quel cinese che sognava ci siamo noi.
A cura di Fabia Abati
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