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La spada e il drago

John Milius Il giovane John Milius a diciasette anni tentò di entrare nei marines. Il suo sogno fu però reciso sul nascere del rifiuto da parte del corpo militare del suo arruolamento a causa dell’asma che lo affliggeva. Allora decise di vivere i sogni di gloria che tanto lo appassionavano attraverso lo schermo.
Fraquentò la scuola di cinema con Coppola, Spielberg, Scorsese e De Palma, cineasti che negli anni settanta avrebbero sconvolto Hollywood divenendo, chi più chi meno, potentissimi. Il suo destino fu di rimanere fuori da questo giro, infatti si è ormai ridotto a lavorare per la televisione. Ma il suo segno nel cinema è rimasto profondo.
Nelle sue prove migliori utilizza la cinepresa con lo stesso spirito epico con cui, mi si perdoni il paragone azzardato, un Omero o un Tolkien crearono autentiche epopee.
Ciò che conta per lui sono l’onore e il coraggio: sentimenti ormai perduti in quest’epoca. Forse proprio per questo egli è ormai quasi dimenticato.
Milius si rivogle al mito, infatti molti suoi film vengono narrati da personaggi secondari che raccontano le gesta di eroi destinati alla sconfitta e consci di essere ultimi rappresentanti di una razza estinta, quasi desiderosi di trascinare con sè nella rovina e nella battaglia finale tutto il loro leggendario mondo, come in un lamento di distruzione del Valhalla, il paradiso degli eroi morti in guerra. Conan il barbaro
Fondamentale anche il rispetto e l’ammirazione per il valore del nemico, anzi più il nemico è valoroso e più gloria vi sarà sconfiggendolo.
O venendone sconfitti.

L’orgoglio del re

“Addio al re” è stato un film sfortunato, poco amato dal pubblico e da gran parte della critica, anche perchè ritenuto, per così dire, “passatista”, troppo classico. La storia è tratta da un romanzo di Pierre Schoenderffer, un intellettuale francese di destra; Milius apre però il film con una citazione del comunista Malraux: ciò che conta non è l’ideologia, è l’uomo. La pellicola è un disperato inno alla libertà (una libertà purtroppo perduta per sempre): un inno intriso di poesia selvaggia. Il drago tatuato sul petto del re sembra lanciare un urlo di orgoglio e di odio contro tutti quelli che vogliono distruggere il suo paradiso. Il re è una sorta di fratello del Kurtz di “Apocalypse now” (ricordiamo che Milius ne era stato cosceneggiatore). Mentre Kurtz nella foresta ha trovato il suo inferno, il re vi ha trovato il paradiso, un paradiso che però verrà annientato nel fuoco e nel sangue.Conan il barbaro Nemico qui sarà il colonnello giapponese, siamo alla fine del secondo conflitto moondiale, detto “Fantasma” che combatte “come Gengis Khan”. Il Fantasma non sarà mai preso se non quando deciderà egli stesso di consegnarsial re per poter “rivedere il cielo”. Il colonnello, con i suoi uomini, si era abbandonato ad atti di inaudita ferocia per sopravvivere, tra cui il cannibalismo: l’unico a comprendere il perchè di questa barbaria sarà proprio il re: l’onore e il dovere.
Il re chiama i suoi selvaggi del Borneo, Comanche perchè hanno nello sguardo la stessa fierezza dei pellerossa americani, prima di essere sopraffatti. D’altronde questi paragoni hanno sempre affascinato Milius che in un intervista sull sua sceneggiatura di “Geronimo” realizzata da Walter Hill paragona gli Apache ai Vietcong.
Alla fine resterà solo la sofferenza e il coraggio degli eroi, nella stanca memoria di chi potè conoscere “l’ultimo re di Borneo”.

Il potere della spada

“Conan il barbaro”, da non confondersi con il seguito, “Conan il distruttore”, e con le svariate imitazioni, anche italiane, che possono interessare al massimo qualche fanatico del trash, è dietro l’apparenza, per così dire, grazza e commerciale, un’opera che si rivogle direttamente allo scontro tra ghiaccio e fuoco, acciaio e magia, potere e solitudine: in una parola al mito. Milius dichiarò di aver voluto realizzare una pellicola “barbara e pagana”. Estaticamente le influenze sono tanto disparate da poter apparire sincretiche: si va dalle illustrazioni di fantasy eroica di Frank Franzetta alle armature, in particolare gli elmi, di Aleksandr Nevskij di Ejzenstejn. [img4] A girarlo inizialmente doveva essere Oliver Stone che aveva progettato un eroe post atomico, un po’ alla “Mad Max”. Dopo la defezione di Stone e il rifiuto di Ridley Scott fu Milius ad essere indicato e creò un personaggio da epopea che trova però nel suo trionfo solo amarezza e solitudine senza fine.
Questi temi complessi saltano all’occhi malgrado i molti momenti di ironia del film, come quando l’eroe si permette, beffardo, di mandare “alla malora” gli Dei prima della battaglia.
Il tutto intriso da un’autentica sinfonia di guerra scritta da Basil Pouleduris, il cui rapporto con Milius può ricordare quello tra Sergio Leone ed Ennio Morricone.
Il finale fa il verso ad “Apocalypse now”: entrambe le pallicole si concludono con un’uccisione in un palazzo di potere dopo che l’assassino (là Willard, qua Conan) è salito lungo una scala apparentemente infinita.
Nella prima parte Conan prende la sua spada da una tomba sotterranea in cui è seduto lo scheletro di un antico re guerriero: appena il cimmero fa ciò lo scheletro in armatura si sgretola. Questo perchè un guerriero senza la sua spada è come un re senza il suo orgoglio: non vale più nulla.

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