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Famiglia non è una parola, è una sentenza

Famiglia non è una parola, è una sentenza

Tenebaum, l’esasperazione della perfetta english family. Un’esasperazione-depressione in scala royal. Royal Tenenbaum. Royal Tenenbaum è il patriarca incosciente, che scommette alle corse dei cavalli, che fuma continuamente, che ha la faccia di quell’adorabile bastardo da Oscar di Gene Hackman, che ha una splendida moglie, madre molto manager non sbaglia mai, in Anjelica Huston, bellissima, statuaria, impeccabile ai limiti della nevrosi. I figli sono tre, tre geni, tre prodigi. Chas (Ben Stiller) è re della finanza dall’età di 6 anni. Odia papà Royal perché da piccolo gli ha sparato un pallino di piombo tra due nocche della mano e non vuole avere niente a che fare con lui. Margot (Gwnelth Paltrow) è una piccola drammaturga in ascesa. Richie (Luke Wilson) è un tennista affermato. Nel giro di vent’anni, Royal abbandona la famiglia, anzi no, viene cacciato, questi babytalenti si abbandonano a se stessi, si autodistruggono, perdono la via del successo e imputano la colpa al vecchio Royal e alla sua vita, mentre la madre, con il suo lavoro di archeologa, mantiene dignitosa l’esistenza e il nome della famiglia. Così la scena si sposta dagli anni ’70 del successo Tenenbaum agli allori sui quali ormai sprofonda la perfetta english family. Il ritorno di Royal e dei tre figli alla casa d’origine è dovuta a una serie di coincidenze divertenti, amare, mai scontate. La prova di Hackman e della Huston è veramente da segnare negli annali. Anche gli altri si comportano bene, ma ciò che fa sringere i pugni per spaccare qualcosa è la lentezza e la banalità, forse ricercata del regista Anderson. Ok, ha 32 anni. Ok, forse non sono un intellettuale e dietro certe cose ci vedo solo inesperienze, ma il capolavoro di sceneggiatura e di cast a disposizione andava investito in una regia più solida. Troppi stacchi inutili, troppi dialoghi fini a se stessi solo per compiacersi di ciò che c’è scritto. E’ il solito problema, già postomi dal mio amico regista Lucio Basadonne: perché la caratterizzazione del personaggio dev’essere così precisa, la scelta del linguaggio e dello stile maniacale, ma la parte tecnica ritenuta secondaria, da film d’azione o robe in Dolby? E’ qui che sta l’errore, forse, e, aggiungo io, se Wes Anderson dei Tenenbaum avesse fatto un libro, forse, a quest’ora, sarebbe considerato uno dei migliori nuovi scrittori esistenti al mondo. Ma ne ha fatto un film, a tratti genialmente demenziale, con punte di dolceamaro da maestro del cinema, con interpretazioni di attori in gran spolvero, che però manca di quel groove che ogni regista deve avere per meritarsi l’appellativo di inconfondibile.

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