hideout

cultura dell'immagine e della parola

Terra di tutti e di nessuno

Terra di tutti e di nessuno

“Conosci la differenza tra un pessimista e un ottimista? Il pessimista pensa che la situazione non possa peggiorare, l’ottimista sì.” E’ con questo freddo umorismo che si apre il sipario della tragedia umana a cui lo spettatore sta per assistere, perso anch’egli con un piccolo manipolo di soldati bosniaci in una fitta nebbia nel cuore dei Balcani. L’ottimismo, dalla parte del quale si schiera il regista, è la consapevolezza delle miriadi di sfumature che possono colorare a tinte ancora più forti e sconvolgenti una guerra giocata ai confini del non-senso, dove l’unica vera arma a disposizione che permette la narrazione degli eventi è l’ ironia.
Due bosniaci (uno dei quali è sdraiato su di una mina “balzante”) e un serbo sono in mezzo al fuoco incrociato dei rispettivi compagni, bloccati in una trincea, dove la tensione e la disperazione comune li spinge a litigare, discutere, trovare un brandello di solidarietà tra il dramma che li circonda e amarissimi sorrisi compensatori, in cui la guerra fratricida in questione sembra aprire talvolta spiragli, assumendo i toni, il ritmo e la” leggerezza” della commedia, alternando battute irresistibili a momenti d idrammatico spessore.
La superba sceneggiatura di Tanovic (Palma al Festival di Cannes); riesce a giostrare equilibratamente la polarità emotiva contrastante di chi segue il film: ci si commuove e poi si ride, senza neanche avvertire il passaggio interiore, avvolti e incorporati in una rappresentazione purtroppo “verosimile”di una situazione “impossibile”.
Esiste anche però una disarmonia strutturale tra quello che è vero e quello che ci è proposto come tale: l’ ONU, per esempio, che interviene con i suoi “puffi” (caschi blu) e, pur dichiarandosi neutrale, mette l’embargo sulle armi destinate alle truppe bosniache, che in tal modo non hanno la possibilità di difendere la popolazione. Oppure (un altro esempio) le televisioni che si nutrono di violenze e orrori, inseguendo morbosamente ciò che rifiuta di per sè una qualunque rappresentazione mediatica. Tanovic, servendosi della satira per colpire l’ONU e i media, riesce a tenere le distanze dalla retorica immorale di chi formula considerazioni sulla guerra a seconda degli interessi contingenti, deviando il fulcro dell’ attenzione su due individui (un serbo e un bosniaco) nemici sul “campo”, ma con amici comuni e forse anche una storia passata simile, costretti dagli eventi a scannarsi tra loro senza una precisa causalità. Alla luce di questi svolgimenti, il titolo del film rivela esserne anche il punto d partenza: una “No man’s land” – un brandello di territorio – una postazione militare – come possono essere causa sufficiente e innescante di rancori così profondi ma soprattutto reali da spingere due uomini ad uccidersi a vicenda?! In fondo la TERRA di chi è? Appartiene a tutti e a nessuno.
Una terra qualunque, una volta divenuta “terra di conquista” in guerra, torna ad essere, finito tutto, la terra di sempre, ovvero nuovamente di tutti e di nessuno…
A spezzare questa insensatezza ciclica cui l’umanità sembra dare particolare valore e sottomettersi, Tanovic non fornisce facili nè banali conclusioni, mirando unicamente a sottolineare un elemento comune: “Gli esseri umani sanno essere folli.” E alla follia non può seguire alcuna deduzione invariabile. L’ unica strada percorribile, umanamente razionalizzabile, è quella della consapevolezza che dovrebbe spingere a parlare di giustizia e non di vendetta.
Questa è la lezione che lo spettatore, alzandosi dalla sua comoda postazione, ha assimilato grazie ad un energico ed alternativo punto di vista.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»